“Figlia mia, io sono amore e feci le creature tutto amore: i nervi, le ossa, le carni, sono tessuti d’amore; dopo d’averli tessuti d’amore vi feci scorrere in tutte le particelle, come coprendole d’una veste, il sangue, per dar loro vita d’amore. Sicché la creatura non è altro che un complesso d’amore e non si muove per altro che per amore; al più ci possono essere diversità d’amori, ma sempre per amore si muove; ci può essere amor divino, amor di se stesso, amor di creature, amor cattivo, ma sempre amore, né può fare diversamente, perché la sua vita è amore, creata dall’Amore eterno, quindi portata da una forza irresistibile all’amore.
Sicché la creatura anche nel male, nel peccato, in fondo ci dev’essere un amore che l’ha spinta a fare quel male. Ah, figlia mia, quale non dev’essere il mio dolore nel vedere nelle creature la proprietà del mio amore che ho messo fuori, profanato, contaminato in altro uso! Io per custodire questo amore uscito da me e dato alle creature, me ne sto intorno ad esse come un povero mendicante, e come la creatura si muove, palpita, respira, opera, parla, cammina, le vo mendicando tutto e la prego, la supplico, la scongiuro che desse tutto a me, dicendole: ‘Figlia, non ti chiedo se non ciò che ti ho dato, è per tuo bene, non mi rubare ciò che è mio. Il respiro è mio, respira solo per me; il palpito, il movimento è mio, palpita e muoviti solo per me’, e così del resto. Ma con sommo mio dolore son costretto a vedere che il palpito prende una via, il respiro un’altra, ed io, il povero mendicante, ne resto digiuno, mentre l’amore di se stesso, delle creature, delle stesse passioni, ne restano satolli. Ci può essere torto maggiore di questo? Figlia mia, voglio sfogare con te il mio amore ed il mio dolore; solo chi mi ama mi può compatire”.
(Libro di Cielo 11° Volume - 26 febbraio 1912)