Libro di Cielo - Volume 12°

Novembre 27, 1917 (27) 

[Gesù] continua a parlare del Volere Divino; come [egli ne] è interessato.

Riprendo per obbedire. Il mio sempre amabile Gesù pare che abbia voglia di parlare del vivere nel suo San­tissimo Volere; pare che mentre parla della sua San­tissima Volontà dimentichi tutto e faccia dimenticare tutto; l’anima non trova altra cosa che le necessita, altro bene che vivere nel suo Volere. Onde il dolce mio Gesù, dopo aver scritto il giorno 20 novembre del suo Volere, dispiacendosi con me mi ha detto:

“Figlia mia, non hai detto tutto. Voglio che nessuna cosa trascuri di scrivere quando io ti parlo del mio Volere, anche le più piccole cose, perché serviranno tutte per il bene dei posteri.

In tutte le santità ci sono stati sempre i santi che per primi hanno avuto l’inizio di una specie di santità. Sic­ché ci fu il santo che iniziò la santità dei penitenti, l’altro che iniziò la santità dell’ubbidienza, un’altro dell’umiltà, e così di tutto il resto delle altre santità. Ora l’inizio della santità del vivere nel mio Volere voglio che sia tu. Figlia mia, tutte le altre santità non sono escluse[1] da perdimento di tempo e da interesse personale; come per esempio [per] un’anima che vive in tutto all’ubbidienza, c’è molto perdimento di tempo: quel dire e ridire conti­nuamente la distraggono da me, scambia la virtù in vece mia e, se non ha l’opportunità di prendere tutti gli or­dini, vive inquieta. Un’altra che soffre le tentazioni, oh, quanto perdimento di tempo! Non è mai stanca di dire tutti i suoi cimenti e scambia la virtù in vece mia; e molte volte queste santità vanno a sfascio.

Ma la santità del vivere nel mio Volere va esente da interesse personale, da perdimento di tempo; non c’è pericolo che scambino me per la virtù, perché il vivere nel mio Volere sono io stesso. Questa fu la santità della mia umanità sulla terra, e perciò feci tutto e per tutti e senza l’ombra dell’interesse. L’interesse proprio toglie l’impronta della santità divina; perciò [l’anima] mai può essere sole, al più, per quanto bella, può essere una stella.

Perciò voglio la santità del vivere nel mio Volere in questi tempi sì tristi, la generazione ha bisogno di questi soli che la riscaldino, la illuminino, la fecondino. Il di­sinteresse di questi angeli terrestri, tutto per loro[2] bene senza l’ombra del proprio, aprirà la via nei loro cuori a ricevere la mia grazia.

E poi le chiese sono poche, molte ne verranno di­strutte; molte volte non trovo sacerdoti che mi consa­crino, altre volte permettono ad anime indegne di rice­vermi e ad anime degne di non ricevermi, altre non pos­sono ricevermi, sicché il mio amore si trova inceppato. Perciò voglio fare la santità del vivere nel mio Volere: in esse[3] non avrò bisogno di sacerdoti per consacrarmi né di chiese né di tabernacoli né di ostie, ma esse saranno, tutto insieme, sacerdoti, chiese, tabernacoli ed ostie. Il mio amore sarà più libero; ogni qual volta vorrò consacrarmi, lo potrò fare in ogni momento, di giorno, di notte, in qualunque luogo esse si trovino. Oh, come il mio amore avrà sfogo completo!

Ah! Figlia mia, la generazione presente meritava d’es­sere distrutta del tutto, e se permetterò che qualche poco resti di essa, è per formare questi soli della santità del vivere nel mio Volere, che a mio esempio mi rifaranno di tutto quello che mi dovevano le altre creature, pas­sate, presenti e future. Allora la terra mi darà vera gloria ed il mio Fiat Voluntas tua come in cielo così in terra avrà compimento ed esaudimento”.

 



[1] in altre edizioni esenti

[2] di questa generazione

[3] nelle anime che vivono nel Divin Volere

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