Novembre 1, 1899  (1)

La Chiesa si trova in uno stato tristissimo di degrado. Per sostenerla Luisa accetta di essere vittima. Questo stato finirà in una terribile purificazione, dopo di che spunterà il suo più grande trionfo, e la pace.

Trovandomi nel solito mio stato mi son trovata fuori di me stessa, dentro di una chiesa, ed ivi c’era un sacerdote che celebrava il Divin Sacrificio; e mentre ciò face­va, piangeva amaramente e diceva: “La colonna della mia Chiesa non ha dove poggiarsi”.

Nell’atto che ciò diceva ho visto una colonna, la cui cima toccava il cielo, e al disotto di questa colonna stavano sacerdoti, vescovi, cardinali e tutte le altre dignità, che sostenevano detta colonna; ma con mia sorpresa ho fatto per guardare e ho visto che, dette persone, chi era molto debole, chi mezza marcita, chi inferma, chi piena di fango; scarsissimo era il numero di quelle che si trovavano in stato di sostenerla. Sicché questa povera colonna, tante erano le scosse che riceveva al disotto, che tentennava senza potere star ferma.

Al di sopra di detta colonna vi era il Santo Padre che, con catene d’oro e coi raggi che tramandava da tutta la sua persona, faceva quanto più poteva a sostenerla, ad incatenare ed illuminare le persone che dimoravano al disotto, benché qualcuno se ne fuggiva per avere più agio a marcire ed infangarsi, non solo, ma a legare e illuminare tutto il mondo.

Mentre ciò vedevo, quel sacerdote che celebrava la messa — sto in dubbio se fosse sacerdote oppure Nostro Signore, ma pare che fosse Gesù Cristo, ma non so dire di certo — mi ha chiamato vicino a sé e mi ha detto: “Figlia mia, vedi in che stato lacrimevole si trova la Chiesa; quelle stesse persone che dovevano sostenerla vengono meno, e con le loro opere l’abbattono, la percuotono e giungono a degradarla. L’unico rimedio è che faccia versare tanto sangue da formare un bagno, per poter lavare quel marcioso fango e sanare le loro piaghe profonde, imperocché sanati, rafforzati, abbelliti in quel sangue, possano essere strumenti abili a mantenerla stabile e ferma”.

Poi ha soggiunto: “Io ti ho chiamata per dirti: ‘Vuoi tu essere vittima e così essere come un puntello per sostenere questa colonna in tempi sì incorreggibili?

Io in principio mi son sentita correre un brivido per timore [che] ancora non avessi la forza, ma poi subito mi sono offerta ed ho pronunziato il Fiat. In questo mentre mi son trovata circondata da tanti santi, angeli e anime purganti, che con flagelli ed altri strumenti mi tormentavano; ed io sebbene in principio avvertivo un timore, poi quanto più soffrivo tanto più mi veniva la voglia di patire e gustare il patire come un dolcissimo nettare; e questo molto più ché mi ha toccato un pensiero: “Chi sa che quelle pene potessero essere mezzi come consumare la vita e così poter spiccare l’ultimo volo verso il mio sommo e unico Bene. Ma con sommo mio rammarico, dopo aver sofferto acerbe pene, ho visto che quelle pene non mi consumavano la vita. Oh, Dio, che pena che questa fragile carne mi impedisce d’unirmi col mio Bene eterno!

Dopo ciò, ho visto la sanguinosa strage che si faceva di quelle persone che stavano al di sotto della colonna. Che orribile catastrofe! Scarsissimo era il numero che non rimaneva vittima, giungevano a tale ardimento che tentavano di uccidere il Santo Padre. Ma poi pareva che quel sangue sparso, quelle sanguinose vittime straziate, erano mezzi come rendere forti quelli che rimanevano, in modo da sostenere la colonna senza farla più tentennare. Oh, che felici giorni dopo ciò spuntavano! Giorni di trionfi e di pace, la faccia della terra pareva rinnovata, la detta colonna acquistava il suo primiero lustro e splendore. Oh, giorni felici! Da lungi io vi saluto, ché tanta gloria darete alla mia Chiesa e tanto onore a quel Dio che ne è il capo!

 

Novembre 3, 1899  (2)

Gesù scherza con Luisa; la sua Divinità abita in lei abitualmente.

Questa mattina il mio amabile Gesù è venuto, mi ha trasportato fuori di me stessa, dentro d’una chiesa, ed è scomparso; ed io sono rimasta sola. Ora trovandomi alla presenza del Santissimo Sacramento ho fatto la mia solita adorazione, ma mentre ciò facevo mi pareva che fossi divenuta tutt’occhi per vedere se potessi scorgere il dolce Gesù. In questo mentre l’ho visto sopra l’altare, da bambino, che mi chiamava con la sua graziosa manina. Chi può dirne il contento? Sono volata da lui, e senza pensare ad altro l’ho stretto fra le mie braccia e l’ho baciato. Ma nell’atto di far ciò, ha preso un aspetto serio, mostrava di non gradire i miei baci ed ha incominciato a respingermi. Io, ciò non curando, seguitavo e gli ho detto:

“Carino mio bello, l’altro giorno volesti tu sfogarti con me coi baci e con gli abbracci, ed io ti diedi tutta la libertà; oggi voglio teco sfogarmi anch’io; deh, dammi la libertà!” Ma lui seguitava a respingermi, e vedendo che io non cessavo è scomparso.

Chi può dire quanto son rimasta mortificata e impensierita nel trovarmi in me stessa! Ma dopo poco è ritornato, ed io, volendo chiedergli perdono delle mie impertinenze, mi ha perdonato col volersi lui sfogare con me; e mentre mi baciava mi ha detto: “Diletta del cuor mio, la mia Divinità abita in te abitualmente, e siccome tu vai inventando nuove cose per farmi deliziare con te, così io per renderti la pariglia uso nuovi modi come farti deliziare con me”.

Con ciò ho capito che è stato uno scherzo che Gesù voleva fare.

 

Novembre 4, 1899  (3)

Per discernere se è il Signore oppure il demonio che interviene nell’anima, occorre guardare gli effetti interni.

Siccome questa mattina il benedetto Gesù non ci veniva, il demonio cercava di prendere la sua forma e farsi vedere; ma io non avvertendo i soliti effetti ho incominciato a dubitare e mi son segnata con la croce, pri­ma io e poi lui[1], e il demonio vedendosi segnato tremava; subito l’ho respinto da me senza mirarlo. Dopo poco è venuto il mio caro Gesù, e temendo che fosse un’altra volta lo spirito maligno cercavo di respingerlo e d’invo­care l’aiuto di Gesù e della Regina Mamma. Ma lui, per assicurarmi che non era il demonio, mi ha detto:

“Figlia mia, la tua attenzione per rassicurarti se sono io o no, dev’essere dagli effetti interni, se si muovono a virtù o a vizi, imperciocché, siccome la mia natura è virtù, non di altro faccio eredi i miei figli che di virtù. E questo puoi anche comprenderlo sopra la [2] natura umana, che essendo carne, se avviene che fa qualche piaga, la carne si cambia in marcia, e si può dire che non è più carne; così la mia natura, se menomamente potesse ritenere in sé l’ombra del vizio cesserebbe d’essere quel Dio che è, ciò che non può mai succedere”.

 

Novembre 6, 1899  (4)

Luisa si offre vittima, per placare il Signore dal castigare le genti, ma Gesù glielo impedisce. L’impor­tanza di piacere solo al Signore.

Questa mattina essendo venuto l’adorabile Gesù e trasportandomi fuori di me stessa, mi ha fatto vedere strade piene di carne umana. Che carneficina spietata, fa orrore a pensarlo! Poi mi ha fatto vedere che succedeva una cosa nell’aria, e molti ne morivano all’improvviso, e questo lo vidi pure dal mese di marzo.

Io ho incominciato, secondo il solito, a pregarlo che si placasse e che risparmiasse le sue stesse immagini da supplizi sì crudeli, da guerre sì sanguinose; e siccome teneva la corona di spine gliel’ho tolta per mettermela io, e ciò per placarlo maggiormente. Ma con mio sommo rammarico ho visto che le spine rimanevano quasi tutte spezzate nella sua santissima testa, sicché pochissimo rimaneva a me da soffrire. Gesù si mostrava severo, senza quasi darmi retta; mi ha trasportata di nuovo nel letto, e siccome io mi trovavo con le braccia in croce soffrendo i dolori della crocifissione che lui stesso mi aveva prima partecipato, ha preso le mie braccia e me le ha unite insieme, legandole con una cordicella di oro. Io non badando che cosa volesse ciò significare, per spezzare quell’aria severa che teneva gli ho detto:

“Dolcissimo amor mio, ti offro questi movimenti del mio corpo che voi stesso mi avete fatto, e tutti gli altri che posso fare io, per il solo fine di piacervi e glorificar­vi. Ah, sì! Vorrei che anche i movimenti delle palpebre dei miei occhi, delle mie labbra e di tutta me stessa, fossero fatti al solo fine di piacere a voi solo. Fate, o buon Gesù, che tutte le mie ossa, i miei nervi, risuonassero fra loro ed a chiare voci vi attestassero il mio amore”.

E lui mi ha detto: “Tutto ciò che si fa per il solo fine di piacermi, risplende innanzi a me d’una maniera tale da attirare i miei sguardi divini, e mi piacciono tanto che a quelle azioni, fossero anche un muovere di ciglia, ne do il valore come se fossero fatte da me. Invece quelle altre azioni in sé stesse buone ed anche grandi, fatte non per me solo, sono come quell’oro infangato e pieno di ruggine, che non risplende, ed io non mi benigno neppure di guardarle”.

Ed io: “Ah, Signore, quanto è facile che la polvere imbratti le nostre azioni!”

E lui: “Alla polvere non bisogna badare, perché si scuote, ma quello che bisogna badare è all’intenzione”.

Ora mentre ciò si diceva, Gesù si occupava a legarmi le braccia; io gli ho detto: “Deh, Signore, che fate?”

E lui: “Faccio questo, ché tu stando in quella posizione della crocifissione mi vieni a placare, ed io siccome voglio castigare le genti te le sto legando”.

E detto ciò è scomparso.

 

Novembre 10, 1899  (5)

L’anello che congiunse la Divinità e l’umanità, e for­mò un solo anello, è l’ubbidienza.

Dopo aver passato parecchi giorni in contrasti con Gesù, che io volevo essere sciolta, e lui che non voleva, or si faceva vedere che dormiva, or mi imponeva silenzio, finalmente questa mattina, mentre l’ho visto, vedevo il confessore che assolutamente mi comandava che mi facessi sciogliere da Gesù. E questo più d’una volta; ma Gesù non dava retta. Io però, costretta dall’ubbi­dienza, gli ho detto: “Mio amabile Gesù, quando mai vi siete opposto all’ubbidienza? Non sono io che voglio essere sciolta, è il confessore che vuole che mi facciate soffrire la crocifissione; perciò arrendetevi a questa virtù tanto a voi prediletta, che inanella la vostra vita e che formò l’ultimo anello congiungendo tutto in uno: il sacrificio della croce”.

E Gesù: “Tu proprio mi vuoi fare violenza toccandomi quell’anello che congiunse la Divinità e l’umanità, e formò un solo anello, qual è l’ubbidienza”.

E mentre ciò diceva ha preso l’aspetto di crocifisso, e quasi forzato dalla potestà sacerdotale mi ha partecipato i dolori della crocifissione. Sia sempre benedetto il Signore e sia il tutto a gloria sua! Così pare che sono stata sciolta.

 

Novembre 11, 1899  (6)

In questi tristi tempi, la stessa forza dei miracoli renderebbe gli uomini più increduli.

Trovandomi nel solito mio stato, mi sono trovata fuori di me stessa e mi pareva che girassi la terra. Oh, come era inondata d’ogni sorta di iniquità! Fa orrore a pensarlo! Ora mentre giravo, sono giunta ad un punto ed ho trovato un sacerdote di santa vita, e ad un altro punto una vergine di vita intemerata e santa. Ci siamo uniti tutti e tre ed abbiamo preso il discorso sui tanti castighi che il Signore sta facendo e tanti altri che tiene preparati. Io ho detto loro: “E voi che fate? Vi siete forse conformati alla divina giustizia?”

E quelli: “Vedendo la stretta necessità di questi tristi tempi e che l’uomo non si arrenderebbe né se uscisse un apostolo né se il Signore inviasse un altro San Vincenzo Ferrer, che con i miracoli e segni portentosi lo potesse indurre alla conversione, anzi l’uomo è giunto a tale ostinazione e ad una specie di pazzia che la stessa forza dei miracoli li renderebbe più increduli, onde, investiti da questa strettissima necessità, per il bene loro e per arrestare questo mare marcioso che inonda la faccia della terra e per gloria del nostro Dio, tanto oltraggiato, ci sia­mo conformati alla giustizia. Solo stiamo pregando e offrendoci vittime, per fare che questi castighi riuscissero per la conversione dei popoli. E tu che fai? Non ti sei con­formata con noi?”

Ed io: “Oh, no! Non posso, ché l’ubbidienza non vuole, sebbene Gesù vuole che mi uniformassi, ma siccome l’ubbidienza deve prevalere su tutto, mi conviene stare sempre in contrasto con Gesù benedetto, cosa che molto mi affligge”.

E quelli: “Quando è ubbidienza, sicuro che non bisogna aderire”.

Dopo ciò, trovandomi in me stessa, quando ho appena visto il carissimo Gesù, ed io volevo sapere di quali parti fossero quel sacerdote e quella vergine, e lui mi ha detto che erano del Perù.

 

Novembre 12, 1899  (7)

Gesù concede a Luisa di fermare un flagello che doveva toccare sulla terra.

Questa mattina l’amabile Gesù mio è venuto e mi ha trasportata fuori di me stessa, e vedevo come se dovesse dal cielo smuoversi una cosa e toccare la terra. Sono restata tanto spaventata che ho gridato, e gli ho detto:

“Deh, deh, Signore, che fai? Quanta ruina succederà, se ciò succede! Mi dici che mi vuoi bene e mi vuoi far prendere paura? Mai visto! Non lo fare; no, no! Non puoi farlo, che io non lo voglio”.

E Gesù, tutto compassionandomi mi ha detto: “Figlia mia, non aver timore; e poi, quando mai vuoi tu che io faccia niente? Non devo farti vedere niente quando castigo le genti, altrimenti mi leghi dappertutto. Ebbene fortificherò il tuo cuore e farò spuntare da esso come un tronco da poter mantenere fermo ciò che tu vedi, e poi verserò in te tante grazie in modo da potermi nutrire io ed i miei figli”.

In questo mentre è uscito da dentro il mio cuore come un tronco, ed alla cima come due rami a modo di forca, che sollevandosi in aria, [uno] prendeva in mezzo ciò che stava per smuoversi [e] così restava fermo, solo, ad un punto lontano; l’altro pareva che toccava la terra. Dopo mi son trovata in me stessa e l’ho pregato[3] che si placasse, e pareva piuttosto che si arrendesse, tanto che mi ha partecipato i dolori della croce; ed è scomparso.

 

Novembre 13, 1899  (8)

Gesù, mentre pareva che non voleva essere placato, dopo ringraziava di cuore chi si occupava a mantenere il suo braccio sdegnato.

Questa mattina il mio adorabile Gesù pareva irrequieto; non faceva altro che andare e venire, or si tratteneva con me, or, quasi tirato dal suo ardentissimo amore verso le creature, andava a vedere ciò che facevano, e tutto si condoleva di ciò che soffrivano come se lui stesso, e non loro, fosse preso da quelle sofferenze. Parecchie volte ho visto il confessore che con la sua potestà sacerdotale costringeva Gesù a farmi soffrire le sue pene per poter placarlo; e lui, mentre pareva che non voleva essere placato, dopo si mostrava grato, ringraziava di cuore chi si occupava a mantenere il suo braccio sdegnato; ed or mi partecipava una sofferenza ed or un’al­tra. Oh, come era tenero e commovente vederlo in questo stato! Faceva spezzare il cuore per compassione. Parecchie volte mi ha detto:

“Conformati alla mia giustizia che più non posso. Ah, l’uomo è troppo ingrato e quasi mi costringe da tutte le parti a castigarlo; me li strappa lui stesso dalle mie mani i castighi. Se tu sapessi quanto soffro nel fare uso della mia giustizia! Ma è l’uomo stesso che mi fa violenza. Ahi, se non avessi fatto altro che comperare a prez­zo di sangue la sua libertà, pure mi doveva essere riconoscente[4], ma quello per farmi maggior torto va inventando nuovi modi come rendere inutile il mio sborso”.

E mentre ciò diceva, piangeva amaramente. Ed io per consolarlo gli ho detto: “Dolce mio Bene, non vi affliggete; veggo che la vostra afflizione è più che[5] vi sentite costretto di castigare le genti. Ah, no, non sarà mai! Se voi siete tutto per me, io voglio essere tutta per voi, quindi sopra di me manderete i flagelli; qui c’è la vittima, sempre pronta ed a vostra disposizione. Potete farmi soffrire ciò che volete, e così resterà la vostra giustizia in qualche modo placata e voi sollevato nell’afflizione che prendete a veder soffrire le creature. È stata sempre questa la vostra intenzione: di non conformarmi alla giu­stizia perché soffrendo l’uomo soffrirete[6] più voi che lui stesso”.

Mentre stavo ciò dicendo, è venuta la nostra Mamma Regina ed io mi son ricordata che, avendo domandato al confessore l’ubbidienza di conformarmi alla giustizia, mi aveva detto che domandassi alla Vergine Santissima se voleva che mi uniformassi. Gliel’ho detto e lei mi ha detto: “No, no, ma prega figlia mia; e in questi giorni cerca per quanto puoi di tenerlo insieme [con te] e di placarlo, che molti castighi stanno preparati”.

 

Novembre 17, 1899  (9)

Se il confessore non avesse fatto uso della potestà sacerdotale, molte catastrofi sarebbero successe.

Continua l’amabile Gesù mio a farsi vedere afflitto. Questa mattina insieme con lui è venuta la nostra Regina Mamma e mi pareva che lei me lo portasse affinché l’avessi placato e pregato, insieme con lei, che avesse fatto soffrire me per risparmiare le genti; e mi ha detto che se in questi giorni passati non mi avesse interposta e il confessore non avesse fatto uso della potestà sacerdotale a concorrere con le sue intenzioni di farmi soffrire, molte catastrofi sarebbero successe.

In questo mentre ho visto il confessore ed io subito ho pregato, per lui, Gesù e la Regina Madre; e Gesù tutto benignità ha detto: “A misura che si prenderà cura dei miei interessi, col pregarmi ed anche con l’impegnarsi di rinnovare l’intenzione di farti soffrire a scopo di risparmiare le genti, prenderò cura di lui e lo risparmierò. Io sarei pronto a fare questo patto con lui”.

Dopo ciò ho fatto per guardare il mio dolce ed unico Bene, ed ho visto che nelle sue mani teneva due fulmini; in una conteneva come allestito un terremoto forte ed una guerra; nell’altra, tante specie di morti all’improv­viso e malattie contagiose. Io l’ho cominciato a pregare che sopra di me versasse quei fulmini e quasi li volevo togliere dalle sue mani, ma lui per non farmi giungere a questo ha cominciato ad allontanarsi da me; ed io cercavo di seguirlo e perciò mi son trovata fuori di me stessa.

Gesù mi è scomparso ed io son rimasta sola. Or trovandomi sola ho girato un poco, e mi son trovata in parti dove in questa stagione fanno la mietitura. Pareva che là succedevano fracassi di guerre, ed io volevo andare per aiutare quelle povere genti; ma i demoni mi impedivano d’andare dove stavano succedendo e per succedere tali cose, e mi battevano acciò non potessi aiutare, ed anche impedire i loro artifizi, ed hanno usata tanta forza da farmi retrocedere indietro.

 

Novembre 19, 1899  (10)

La superbia rode la grazia.

Continua il mio adorabile Gesù a venire; e siccome la mia mente, prima di venire[7][Gesù], stava pensando a certe cose che negli anni passati Gesù mi aveva detto e che non tanto ricordo bene, lui, quasi per ricordarmi, mi ha detto:

“Figlia mia, la superbia rode la grazia; nei cuori dei superbi non v’è altro che un vuoto tutto pieno di fumo che produce la cecità. La superbia non fa altro che rendere sé stesso un idolo; sicché l’anima superbiosa, in sé non ha il suo Dio; col peccato ha cercato di distruggerlo nel suo cuore, ed alzando l’altare nel suo cuore, vi si mette sopra e adora sé stessa”.

O Dio, che mostro abominevole è questo vizio! A me sembra che se l’anima sta attenta a non farla entrare in sé, è libera da tutti gli altri vizi; ma se per sua sventura si lascia dominare da essa, siccome madre mostruosa e cattiva, le partorirà tutti i suoi figli discoli, quali sono gli altri peccati. Ah, Signore, tenetela da me lontano!

 

Novembre 21, 1899  (11)

Tutto il piacere dell’anima dev’essere nel rimirarsi in Gesù.

Questa mattina il mio dilettissimo Gesù, appena venuto, mi ha detto: “Figlia mia, tutto il tuo piacere dev’es­sere nel rimirarti in me, e se ciò farai sempre, ritrarrai in te tutte le mie qualità, la mia fisionomia, i miei stessi lineamenti, ed io, in contraccambio, tutto il mio gusto e sommo contento sarà nel dilettarmi di rimirarmi in te”.

Detto ciò è scomparso ed io stavo ruminando nella mia mente le parole già dette. Tutto all’improvviso è ritornato, mettendomi la sua mano in capo, rivolgendomi la faccia verso di lui ha soggiunto: “Oggi voglio dilettarmi un poco col rimirarmi in te”.

Un brivido mi è corso per tutta la vita, uno spavento da sentirmi morire, perché vedevo che mi guardava fissa fissa volendosi dilettare nei miei pensieri, sguardi, parole ed in tutto il resto, col rimirarsi in me. “Oh, Dio, sono oggetto io di far prendere diletto o di amareggiarvi?”, andavo ripetendo nel mio interno.

In questo mentre è venuta la nostra cara Mamma Regina in mio aiuto, portando una veste bianchissima fra le mani, e tutta amabilità mi ha detto: “Figlia mia, non temere, voglio io stessa supplire per te vestendoti della mia innocenza così mio Figlio, rimirandosi in te, possa trovare il maggior diletto che si possa trovare in umana creatura”.

Onde mi vestì con quella veste, e mi offriva al mio caro bene Gesù dicendogli: “Accettatela per riguardo mio, o caro Figlio, e dilettatevi in essa”.

Così mi è passato ogni timore, e Gesù si dilettava in me ed io in lui.

 

Novembre 24, 1899  (12)

Amarezza di Gesù per i sacerdoti.

Questa mattina il mio dolce Gesù è venuto e mi ha trasportata fuori di me stessa. Ora, siccome l’ho veduto tutto ripieno d’amarezza, l’ho pregato e ripregato che la riversasse in me; ma per quanto ho potuto pregare non mi è riuscito di ottenere che versasse in me le sue amarezze, solo che, siccome mi avvicinavo alla sua bocca per ricevere le sue amarezze, ci[8] veniva un alito amaro. Mentre io ciò facevo, vedevo un sacerdote che moriva, ma non ho conosciuto bene chi fosse perché pareva l’altra intenzione di pregare per un sacerdote infermo, ma non scorgendolo per quello[9], mi son confusa se fosse quello o qualche altro. Onde ho detto a Gesù: “Signore, che fai? Non vedi tu quanta scarsezza di sacerdoti vi è a Corato, che vuoi toglierci degli altri?”

E Gesù, non dandomi retta e minacciando con la mano, diceva: “Li distruggerò, li distruggerò di più”.

 

Novembre 26, 1899  (13)

L’amore e la purità con cui Luisa soffre attirano il compiacimento delle Tre Divine Persone. Per meritare la grazia di patire di più, Luisa confessa le sue colpe dinanzi alla Santissima Trinità.

Trovandomi molto sofferente, l’amabile mio Gesù è venuto e mi ha messo il braccio da dietro il collo in atto di sostenermi. Ora stando a lui vicina ho incominciato a fare le mie solite adorazioni a tutte le sue sante membra, incominciando dalla sua sacratissima testa. Nell’atto che ciò facevo mi ha detto: “Diletta mia, ho sete; fammi dissetare nel tuo amore che più non posso trattenermi”.

E prendendo aspetto di bambino si è menato fra le mie braccia e si è messo a succhiare; pareva che ci pren­deva un gusto graditissimo e ne restava tutto ristorato e dissetato. Dopo ciò, volendo quasi scherzare con me, con una lancia che teneva in mano mi passava il cuore da banda a banda. Io sentivo acerbissimo dolore, ma oh, come ero contenta di soffrire, specialmente ché erano le stesse mani del mio solo ed unico Bene che mi davano da patire! E l’incitavo a farmi maggiore strazio, tanto era il gusto e la dolcezza che vi sentivo. Gesù benedetto per rendermi più contenta mi ha strappato il cuore prendendolo fra le sue mani, e con quella stessa lancia lo ha aperto metà e metà, ed ha trovato una croce risplendente e bianchissima. L’ha presa tra le sue mani compiacendosi grandemente e mi ha detto: “Questa croce l’ha prodotta l’amore e la purità con cui tu soffri. Mi compiaccio tanto del modo con cui tu soffri che non solo io, ma chiamo il Padre e lo Spirito Santo a compiacersi meco”.

In un istante ho fatto per guardare ed ho visto Tre Persone che circondandomi si dilettavano nel guardare questa croce. Io però, lamentandomi con loro, ho detto: “Grande Iddio, troppo scarso è il mio patire; non son contenta della sola croce, ma voglio ancora le spine ed i chiodi, e se non lo merito, perché indegna e peccatrice, voi certo potete darmi le disposizioni per ciò meritare”.

E Gesù dandomi un raggio di luce intellettuale mi ha fatto capire che voleva che io facessi la confessione delle mie colpe. Mi sentivo quasi atterrare innanzi alle Tre Divine Persone, ma l’umanità di Nostro Signore m’ispirava fiducia, sicché pure a lui rivolgendomi ho detto il Confiteor e dopo ho incominciato a fare la confessione delle mie colpe.

Ora mentre mi trovavo tutta immersa nelle mie miserie, una voce è uscita da mezzo a loro che diceva: “Ti perdoniamo, e tu non più peccare”. Io mi aspettavo di ricevere l’assoluzione di Nostro Signore, ma nel meglio è scomparso. Poco dopo è ritornato crocifisso e mi ha partecipato i dolori della croce.

 

Novembre 27, 1899  (14)

Chi possiede la grazia ritiene in sé stessa il paradiso.

Questa mattina il mio caro Gesù non veniva. Dopo molti stenti, quando appena l’ho visto[10]; ed io lamentandomi con lui della sua tardanza gli ho detto: “Signore benedetto, come così tardi? Vi siete forse dimenticato che non posso stare senza di voi? Ho forse perduto la vostra grazia, che non ci venite?”

E lui interrompendo il mio dire lamentevole, mi ha detto: “Figlia mia, sai tu che cosa fa la mia grazia? La mia grazia rende felice l’anima dei beati comprensori e rende felice l’anima dei viatori, con questa sola differen­za, che i comprensori beandosi e deliziandosi, e i viatori lavorando e mettendola a traffico. Sicché chi possiede la grazia ritiene in sé stessa il paradiso, perché la grazia non è altro che possedere me stesso, ed essendo io solo l’oggetto incantevole che incanta tutto il paradiso, che forma tutti i contenti dei beati, l’anima possedendo la grazia, dovunque si trova possiede il suo paradiso”.

 

Novembre 28, 1899  (15)

Dice Luisa a Gesù: “Tutto per amor vostro, son pronta, ma ci dovete venire voi insieme”.

Il mio diletto Gesù è venuto tutto affabilità. Mi pareva come un intimo amico che fa tante cerimonie all’al­tro amico per attestargli il suo amore. Le prime parole che mi ha detto sono state: “Diletta mia, se tu sapessi quanto ti amo! Mi sento tirato grandemente ad amarti. Gli stessi miei indugi nel venire, mi sforzano e sono nuove cause di farmi venire a colmarti di nuove grazie e carismi celesti. Se tu potessi comprendere quanto ti amo, il tuo amore paragonato col mio appena lo scorgeresti”.

Ed io: “Mio dolce Gesù, è vero ciò che dite, ma anche io sento che vi amo assai; e voi dite che il mio amore paragonato al vostro appena si scorge, questo è perché il vostro potere è senza limiti ed il mio è limitato; e per tanto posso fare, per quanto da voi stesso mi vien dato. È tanto vero ciò, che quando mi viene la volontà di più soffrire per maggiormente attestarvi il mio amore, se voi non me le concedete le pene, non sta in mio potere il soffrire e son costretta a rassegnarmi anche in questo ed essere quell’essere inutile che da me sono stata sempre. Invece a voi stava in vostro potere lo stesso patire, ed in qualche[11] modo volete manifestarmi il vostro amore, già lo potete fare. Diletto mio, datemi a me il potere e poi vi farò vedere quanto so fare per amor vostro, perché quella misura che mi date, quella stessa misura vi darò”.

Lui ascoltava con sommo piacere il mio dire spropositato, e quasi volendomi mettere a prova mi ha tra­sportata fuori di me stessa, vicino ad un luogo profondo, pieno di fuoco liquido e tenebroso; metteva orrore e spa­vento al solo vederlo. Gesù mi ha detto: “Qui v’è purgatorio e molte anime ci sono ammassate in questo fuoco. Andrai tu in questo luogo a soffrire per liberare quelle anime che piacciono a me; e questo lo farai per amor mio”.

Io subito, sebbene un po’ tremando, gli ho detto: “Tutto per amor vostro, son pronta; ma ci dovete venire voi insieme, altrimenti se mi lasciate non vi fate più trovare e poi mi fate piangere ben bene”.

E lui: “Se vengo io insieme, qual sarebbe il tuo purgatorio? Quelle pene, con la mia presenza, per te si cambierebbero in gioie ed in contenti”.

Ed io: “Sola non ci voglio andare; e poi mentre andremo in quel fuoco, voi vi starete dietro le mie spalle, così non vi vedo e verrò a soffrire”.

Così sono andata in quel luogo ripieno di dense tenebre, e lui che mi seguiva da dietro; ed io per timore ancora [che] mi lasciasse, gli ho preso le mani, tenendole strette alle mie spalle. Giunta laggiù, chi può dire le pene che soffrivano quelle anime? Sono certo inenarrabili a persone vestite d’umana carne. Onde andando io in quel fuoco, esso distruggevasi e si diradavano le tenebre, e molte [anime] ne uscivano ed altre ne restavano sollevate. Dopo esser stati circa un quarto d’ora, ne siamo usciti, e Gesù tutto si lamentava.

Io subito ho detto: “Ditemi, mio Bene, perché vi lamentate? Cara mia vita, sono stata io forse la causa, perché non ho voluto andare sola in quel luogo di pene? Ditemi, ditemi; avete sofferto molto nel veder quelle anime soffrire? Che cosa vi sentite?”

E Gesù: “Diletta mia, mi sento tutto ripieno d’amarezze, tanto che non potendole più contenere sto per traboccarle sopra la terra”.

Ed io: “No, no, mio dolce amore, le verserete in me, non è vero?”

Ed avvicinandomi alla bocca[12] ha versato un liquore amarissimo, in tanta abbondanza che non potevo contenerlo, e pregavo lui stesso che mi desse la forza a sostenerlo, altrimenti ciò che non avevo fatto fare a Nostro Signore l’avrei fatto io, a[13] versarlo sopra la terra, e questo mi rincresceva molto a farlo. Pare però che mi ha dato la forza, sebbene erano tante le sofferenze che mi sentivo venir meno. Ma Gesù prendendomi fra le sue braccia mi sosteneva e mi diceva: “Per te bisogna cedere per forza; ti rendi tanto importuna che mi sento quasi necessitato a contentarti”.

 

Novembre 30, 1899  (16)

Quanti dolori danno a Gesù le membra del suo corpo mistico.

Continua il mio adorabile Gesù a venire, e questa volta lo vedevo in atto quando stava alla colonna. Gesù slegandosi si gettava nelle mie braccia per essere da me compatito. Io me l’ho stretto ed ho incominciato ad aggiustargli i capelli, tutti aggrumiti di sangue, ad asciugargli e [gli] occhi e il volto, ed insieme lo baciavo e facevo diversi atti di riparazione. Quando sono giunta alle mani e gli ho tolto la catena, con somma meraviglia ho visto che il capo era di Nostro Signore ma le membra erano di tante altre persone, specialmente religiose.

Oh, quante membra infette che davano più tenebre che luce! Nel lato sinistro ci stavano quelli che davano più da soffrire a Gesù. Si vedevano membra inferme, ripiene di piaghe verminose e profonde; altre che appena restavano attaccate per un nervo a quel corpo. Oh, come si doleva e vacillava quel capo divino sopra quelle membra! Al lato destro poi si vedevano quelli che erano più buoni, cioè membra sane, risplendenti, coperte di fiori e di rugiada celeste, profumate di olezzanti odori; e tra queste membra si[14] scorgeva qualcuna che mandava un profumo oscuro. Questo capo divino sopra queste membra molto veniva a soffrire. È vero che vi erano delle membra risplendenti, che quasi si rassomigliavano alla luce di quel capo, che lo ricreavano e gli davano grandissima gloria, ma erano in più gran numero le membra infette. Gesù aprendo la sua dolcissima bocca, mi ha detto:

“Figlia mia, quanti dolori mi danno queste membra! Questo corpo che tu vedi è il corpo mistico della mia Chiesa, di cui mi glorio di essere il capo; ma quanto strazio crudele fanno queste membra in questo corpo! Pare che si aizzino tra loro a chi più possa darmi tormento”.

Ha detto altre cose, che non tanto ricordo bene, su questo corpo; perciò faccio punto.

 

Dicembre 2, 1899  (17)

La croce ha virtù di disporre l’anima alla grazia.

Trovandomi molto afflitta su certe cose che non è qui lecito il dirle, l’amabile Gesù, volendomi sollevare nella mia afflizione, è venuto in un aspetto tutto nuovo. Mi pareva vestito di color celeste, tutto ornato di campanellini piccoli d’oro che, toccandosi fra loro, risuonavano di un suono non mai udito. All’aspetto di Gesù ed al grazioso suono mi son sentita incantare e sollevare nella mia afflizione, che come fumo si dipartiva da me. Io sarei rimasta lì in silenzio, tanto mi sentivo attonite e stupite le potenze dell’animo mio, se il benedetto Gesù non avesse rotto il mio silenzio col dirmi:

“Figlia a me diletta, tutti questi campanellini sono tante voci che ti parlano del mio amore e che chiamano te ad amarmi. Ora lasciami vedere quanti campanelli tieni tu che mi parlano del tuo amore e che chiamano me ad amarti”.

Ed io tutta piena di rossore gli ho detto: “Deh, Signore, che dite? Io non ho niente, non ho altro che i soli difetti”.

Allora Gesù compatendo la mia miseria ha ripreso a dirmi: “Tu non hai niente, è vero; ebbene voglio ornarti io coi miei stessi campanelli, acciò [tu] possa aver tante voci come chiamarmi e come mostrarmi il tuo amore”.

Così pareva che con una fascia ornata di questi campanellini mi cingesse la vita. Dopo ciò, io son rimasta in silenzio e lui ha soggiunto: “Oggi ho piacere di trattenermi con te, dimmi qualche cosa”.

Ed io: “Voi sapete che tutto il mio contento è di stare insieme con voi, ed avendo voi ho tutto; onde possedendo voi mi pare che non ho che altro desiderare né che dire”.

E Gesù: “Fammi sentire la tua voce che ricrea il mio udito; conversiamo un poco insieme. Io ti ho parlato tante volte della croce. Oggi fammi sentire parlare te della croce”.

Io mi sentivo tutta confusa, non sapevo che dire; ma lui mandandomi un raggio di luce intellettuale, per contentarlo ho incominciato a dire: “Diletto mio, chi vi può dire che cosa è la croce e che fa la croce? Solo la vostra bocca può degnamente parlare della sublimità della croce. Ma giacché lo volete che parli, io pure lo faccio.

La croce sofferta da voi, Gesù Cristo, mi liberò dalla schiavitù del demonio e mi sposò alla Divinità con nodo indissolubile; la croce è feconda e mi[15] partorisce la grazia; la croce è luce e mi disinganna del temporale e mi svela l’eterno; la croce è fuoco e tutto ciò che non è Dio mette in cenere, fino a vuotarmi il cuore di un minimo filo d’erba che possa starci. La croce è moneta di inestimabile prezzo e se io avrò, sposo santo, la fortuna di possederla, mi arricchirò di monete eterne fino a rendermi la più ricca del paradiso, perché la moneta che corre in cielo è la croce sofferta in terra. La croce poi fa conoscere me stessa, non solo, ma mi dà la conoscenza di Dio. La croce m’innesta tutte le virtù. La croce è nobile cattedra dell’Increata Sapienza, che m’insegna le dottrine più alte, sottili e sublimi. Sicché la sola croce mi svelerà i misteri più nascosti, le cose più recondite, la perfezione più perfetta, nascosta ai più dotti e sapienti del mondo. La croce è qual acqua benefica che mi purifica, non solo, ma mi somministra il nutrimento alle virtù, me le fa crescere, ed allora mi lascia, quando mi riconduce all’eterna vita. La croce è qual rugiada celeste che mi conserva ed abbellisce il bel giglio della purità. La croce e l’alimento della speranza. La croce è la fiaccola della fede operante. La croce è qual legno solido che conserva e fa mantenere sempre acceso il fuoco della carità. La croce è qual legno asciutto che fa svanire e mettere in fuga tutti i fumi di superbia e di vanagloria, e produce nell’anima l’umile viola dell’umiltà. La croce è l’arma più potente che offende i demoni e mi difende da tutti i loro artigli. Sicché l’anima che possiede la croce è d’invidia e d’ammirazione agli stessi angeli e santi, di rabbia e di sdegno ai demoni. La croce è il mio paradiso in terra, di modo che se il paradiso di là, dei beati, sono i godimenti, il paradiso di qua sono i patimenti. La croce è la catena d’oro purissimo che mi congiunge con voi, mio sommo Bene, e forma l’unione più intima che dar si possa, fino a far scomparire l’essere mio, e mi tramuta in voi, mio oggetto amato, tanto da sentirmi perduta in voi e viva della stessa vita”.

Dopo che ebbi detto questo, non so se sono spropositi, l’amabile mio Gesù nel sentirmi tutto si compiaceva e preso da entusiasmo d’amore tutta mi baciava, e mi ha detto:

“Brava, brava la mia diletta, hai detto bene. L’amo­re mio è fuoco, ma non come il fuoco terreno che dovunque penetra, rende sterile e mette tutto in cenere. Il mio fuoco è fecondo e solo sterilisce tutto ciò che non è virtù, ma [per] il resto dà vita a tutto e vi fa germogliare i bei fiori, fa produrre i più squisiti frutti e lo rende il più delizioso giardino celeste. La croce è tanto potente e le ho comunicato tanta grazia, da renderla più efficace degli stessi sacramenti, e questo perché nel ricevere il sacramento del mio corpo ci vogliono le disposizioni ed il libero concorso dell’anima per ricevere le mie grazie, che[16] molte volte possono mancare, ma la croce ha virtù di disporre l’anima alla grazia”.

 

Dicembre 21, 1899  (18)

Dice Gesù: “Io sono il ricettacolo delle anime pure”.

Dopo lungo silenzio, questa mattina l’amabile mio Gesù, interrompendolo, mi ha detto: “Io sono il ricettacolo delle anime pure”.

Ed io in queste due parole ebbi luce intellettuale che mi faceva comprendere molte cose sulla purità, ma poco o niente so ridurre a parole di ciò che sento nell’intel­letto. Ma l’onorevolissima signora obbedienza vuol che scriva qualche cosa anche spropositando, e per contentare lei sola dico i miei spropositi sulla purità.

Mi pareva che la purità fosse la gemma più nobile che l’anima può possedere. L’anima che possiede la purità è investita di candida luce, in modo che Iddio benedetto rimirandola ritrova la sua stessa immagine; si sente tirato ad amarla, tanto che giunge ad innamorarsi di lei, ed è preso da tanto amore che le dà per ricetto il suo purissimo cuore, perché solo ciò che è puro e mondissimo entra in Dio; niente entra macchiato in quel seno purissimo.

L’anima che possiede la purità ritiene in sé il suo primiero splendore che Dio le ha dato nel crearla. Niente è in lei deturpato, snobilitato, ma come regina che aspira alle nozze del Re celeste si conserva la sua nobiltà, fino a tanto che questo nobile fiore viene trapiantato nei giardini celesti. Oh, come questo fiore verginale è fragrante di distinto odore! Sempre s’innalza sopra tutti gli altri fiori ed anche sopra gli stessi angeli, come spicca di svariata bellezza! Sicché tutti sono presi da stima e d’amore, e libero gli danno il passo, fino a farlo giungere allo sposo divino, in modo che il primo posto intorno a Nostro Signore è di questi nobili fiori. Onde Nostro Signore si diletta grandemente di passeggiare in mezzo a questi gigli che profumano la terra ed il cielo, e molto più si compiace d’essere circondato da questi gigli, che essendone egli il primo nobile giglio ed il modello, è l’esemplare di tutti gli altri.

Oh, come è bello vedere un’anima vergine! Il suo cuore non dà altro alito che di purità e di candore; non è neppure ombrata d’altro amore che non è Dio. Anche il suo corpo spira odore di purità; tutto è puro in lei; pura nei passi, pura nell’operare, nel parlare, nel guardare, anche nel muoversi; sicché al solo vederla si sente la fragranza e vi si scorge un’anima vergine davvero. Quali carismi, quali grazie, quale l’amore scambievole, gli stra­tagemmi amorosi tra quest’anima e lo sposo Gesù! Solo chi li prova può dire qualche cosa, che neppure tutto si può narrare. Ed io non mi sento di[17] dovere di parlare su questo punto, perciò faccio silenzio e passo innanzi.

 

Dicembre 22, 1899  (19)

Dio si manifesta all’anima con la potenza, con la notizia e con l’amore.

Questa mattina il mio adorabile Gesù non veniva. Dopo molto aspettare e riaspettare, quando appena, quasi come un lampo che sfugge, parecchie volte si è fatto vedere; ma mi pareva vedere piuttosto una luce, che Gesù, ed in questa luce una voce che diceva, la prima volta che è venuta: “Io ti attiro ad amarmi in tre modi: a forza di benefizi, a forza di simpatie ed a forza di persuasioni”.

Chi può dire quante cose comprendevo in queste tre parole? Mi pareva che Gesù benedetto, per attirarsi il mio amore ed anche quello delle altre creature, fa piovere benefizi a pro nostro, e vedendo che questa pioggia benefica non giunge al punto di guadagnarsi il nostro amore, giunge a rendersi simpatico. E qual è questa sim­patia? Sono le sue pene, sofferte per amor nostro, fino a morire diluviante sangue sopra una croce, dove si rese tanto simpatico che innamorò di sé i suoi stessi carnefici ed i suoi più fieri nemici. Di più, per attirarci maggiormente e rendere più forte e stabile il nostro amore, ci ha lasciato la luce dei suoi santissimi esempi unita alla sua celeste dottrina, che come luce ci diradano le tenebre di questa vita e ci conducono all’eterna salvezza.

La seconda volta che è venuto mi ha detto: “Io mi manifesto all’anima in tre modi: con la potenza, con la notizia e con l’amore. La potenza è il Padre, la notizia è il Verbo, l’amore è lo Spirito Santo”.

Oh, quante altre cose comprendevo! Ma troppo scarso è quello che so manifestare. Mi pareva che con la potenza Dio si manifesta all’anima in tutto il creato; dal primo all’ultimo essere viene manifestata l’onnipotenza di Dio. Il cielo, le stelle e tutti gli altri esseri ci parlano, sebbene in muto linguaggio, di un Ente Supremo, di un Essere Increato, della sua onnipotenza, perché l’uomo più scienziato, con tutta la sua scienza non può giungere a creare il più vil moscerino; e questo ci dice che ci deve essere un Essere Increato, potentissimo, che ha tutto creato e dà vita e sussistenza a tutti gli esseri. Oh, come tutto l’universo a chiare note ed a caratteri incancellabili ci parla di Dio e della sua onnipotenza! Sicché chi non lo vede è cieco e cieco volontario. Con la notizia mi pareva che Gesù benedetto, nello scendere dal cielo, venisse in persona sulla terra a darci notizia di ciò che è a noi invisibile; ed in quanti modi non si manifestò egli? Credo che ognuno da sé comprenda tutto il resto, perciò non mi dilungo a dire.

 

Dicembre 25, 1899  (20)

Gesù, da che nacque, tenne il suo cuore sempre offerto in sacrifizio per glorificare il Padre, per la conversione dei peccatori e per le persone che più gli furono fedeli compagne nelle sue pene.

Dopo aver passati parecchi giorni quasi di privazione totale del mio sommo ed unico bene, accompagnati da una durezza di cuore, senza poter neppure piangere la mia gran perdita, sebbene offrivo a Dio anche quella durezza dicendogli: “Signore, accettatela come sacrifizio; voi solo potete rammollire questo cuore sì duro”, finalmente, dopo lungo penare, è venuta la mia cara Mamma Regina portando nel suo grembo il celeste bambino ravvolto in un pannolino, tutto tremante; me l’ha dato fra le mie braccia dicendomi: “Figlia mia, riscaldalo coi tuoi affetti, che mio Figlio nacque in estrema povertà, in totale abbandono degli uomini ed in somma mortificazione”.

Oh, come era carino, con quella sua celeste beltà! L’ho preso fra le mie braccia e me l’ho stretto per riscaldarlo, perché era quasi intirizzito dal freddo, non avendo altra cosa che lo copriva che un solo pannolino.

Dopo averlo riscaldato per quanto ho potuto, il mio tenero bambinello, snodando le sue purpuree labbra, mi ha detto: “Mi prometti tu d’essere sempre vittima per amor mio, come io lo sono per amor tuo?”

Ed io: “Sì, tesoretto mio, te lo prometto”.

E lui: “Non son contento della parola, ne voglio un giuramento, ed anche una sottoscrizione col tuo sangue”.

Ed io: “Se vuole l’ubbidienza, lo farò”.

E lui pareva tutto contento ed ha soggiunto: “Il mio cuore, da che nacqui, lo tenni sempre offerto in sacrifizio per glorificare il Padre, per la conversione dei peccatori e per le persone che mi circondavano e che più mi furono fedeli compagne nelle mie pene. Così io voglio che il tuo cuore stia in continua attitudine, offerto in ispirito di sacrifizio per questi tre fini”.

Mentre ciò diceva, la Regina Mamma voleva il bambino per ristorarlo col suo latte dolcissimo. L’ho restituito e lei ha messo fuori la sua mammella per metterla in bocca al divino bambino; ed io, furba, volendo fare uno scherzo, ho messo la mia bocca a succhiare, ho tirato poche gocce; e nell’atto che ciò facevo mi sono scomparsi, lasciandomi contenta e scontenta. Sia tutto a gloria di Dio ed a confusione di questa misera peccatrice.

 

Dicembre 27, 1899  (21)

La carità dev’essere come un ammanto che deve coprire tutte le azioni.

Continua a farsi vedere ad ombra ed a lampo. Mentre mi trovavo in un mare d’amarezza, in un istante mi si è fatto vedere dicendomi: “La carità dev’essere come un ammanto che deve coprire tutte le tue azioni, in modo che tutto deve rilucere di perfetta carità. Che significa quel dispiacerti quando non soffri? Che la tua carità non è perfetta, perché il soffrire per amor mio e il non soffrire per amor mio, senza la tua volontà, è tutto lo stesso”.

Ed è scomparso lasciandomi più amareggiata di prima, volendo toccare un tasto troppo per me delicato e che lui stesso mi ha infuso. Onde, dopo aver versato amare lagrime sullo stato mio miserabile e sopra l’as­senza del mio adorabile Gesù, è ritornato e mi ha detto: “Con le anime giuste mi porto con giustizia, anzi ricompensandole duplicatamente per la loro giustizia col favorirle delle grazie più grandi e col parlare loro di parole giuste e di santità”.

Io però mi trovavo tanto confusa e cattiva che non ardivo di dire una sola parola; anzi continuavo a versare lacrime sulla mia miseria. E Gesù volendomi infondere fiducia ha messo la sua mano sotto la mia testa per sollevarla, ché non mi reggeva, ed ha soggiunto: “Non temere, io sono lo scudo dei crociati e tribolati”. Ed è scomparso.

 

Dicembre 30, 1899  (22)

L’umiliazione e la mortificazione sono due potentissimi mezzi per ottenere le grazie che si vogliono.

Questa mattina il mio adorabile Gesù, quando appena l’ho visto, e siccome l’ubbidienza mi aveva detto che pregassi per una persona, perciò quando Gesù è venuto gliel’ho raccomandato e lui mi ha detto:

“L’umiliazione non solo si deve accettare, ma anche amare, tanto da masticarla come un cibo, e siccome quando un cibo è amaro, quanto più si mastica, tanto più si sente l’amarezza, così l’umiliazione ben masticata fa nascere la mortificazione; e queste sono due potentissimi mezzi, cioè l’umiliazione e la mortificazione, per uscire da certi intoppi ed ottenere quelle grazie che si vogliono. Mentre pare nocevole all’umana natura, come il cibo amaro pare che voglia recare piuttosto male che be­ne, così l’umiliazione e la mortificazione, ma no. Quanto il ferro è più battuto sopra l’incudine, tanto più sfavilla fuoco e resta purgato; così l’anima, quanto più è umiliata e battuta sopra l’incudine della mortificazione, tanto più sfavilla scintille di fuoco celeste e resta purgata se veramente vuol camminare la via del bene; se poi è falsa succede tutto al contrario”.

 

Gennaio 1, 1900  (23)

Quanto più l’anima si umilia e conosce sé stessa, tanto più si accosta alla verità.

Trovandomi molto afflitta per la privazione del mio sommo ed unico Bene, dopo molto aspettare e riaspettare finalmente l’ho visto uscire da dentro il mio cuore che piangeva e mi faceva comprendere quanto patì e si umiliò nella circoncisione. Oh, quanto mi faceva pena! Mi sentivo assorbita in quell’amarezza, e il benedetto bambinello compatendo il mio miserabile stato mi ha detto:

“Quanto più l’anima si umilia e conosce sé stessa, tanto più si accosta alla verità e, trovandosi nella verità, cerca di spingersi nella via delle virtù da cui si vede molto lontana; e se si vede che si trova nella via delle virtù, scorge subito il molto che le resta da fare, perché le virtù non hanno termine, sono infinite come sono io. Onde l’anima, trovandosi nella verità, cerca sempre di perfezionarsi, ma mai giungerà a vedersi perfetta. E questo le serve e farà che l’anima stia continuamente lavorando, sforzandosi per maggiormente perfezionarsi, senza perdere il tempo in oziosità; ed io compiacendomi di questo lavoro, man mano la vado ritoccando per dipingere in lei la mia rassomiglianza. Ecco perciò volli essere circonciso, per dare un esempio di grandissima umiltà che fece stordire gli stessi angeli del cielo”.

 

Gennaio 3, 1900  (24)

Come un fiore odorosissimo profuma il luogo dove si mette, così la pace riempie di Dio l’anima che la possiede.

Continuo a vedermi tutta piena di miserie, non solo, ma anche inquieta. Mi pareva che tutto il mio interno si fosse messo in allarme per la perdita di Gesù. Andavo pensando tra me che i miei grandi peccati mi avevano meritato che il mio adorabile Gesù mi avesse lasciato e quindi non dovevo più rivederlo. Oh, che morte crudele è questo pensiero per me, anzi più spietato di qualunque morte! Non più vedere Gesù! Non più sentire la soavità della sua voce, perdere colui da cui la mia vita dipende e da cui mi viene ogni mio bene! Come poter vivere senza di lui? Ah, per me tutto è finito se perdo Gesù! Con questi pensieri mi sentivo un’agonia di morte, tutto l’interno sossopra, che voleva Gesù. E lui in un lampo di luce si è manifestato all’anima mia, dicendomi:

“Pace, pace, non volerti turbare. Come un fiore odorosissimo profuma il luogo dove si mette, così la pace riempie di Dio l’anima che la possiede”. E come lampo è sfuggito.

Ah, Signore, quanto siete buono con questa peccatrice! E vi dico pure in confidenza: quanto siete singolare, che nientemeno devo perdere voi e neppure volete che mi turbi e mi inquieti, e se ciò faccio mi fate capire che io stessa mi allontano da voi perché con la pace mi riempio di Dio e col turbarmi mi riempio di tentazioni diaboliche. Oh, mio dolce Gesù, quanta pazienza ci vuole con voi! Perché qualunque cosa mi succede, neppure posso inquietarmi né turbarmi, ma volete che me ne stia in perfetta calma e pace.

 

Gennaio 5, 1900  (25)

Solo il peccato può ferire e dar morte all’anima.

Trovandomi nel solito mio stato, mi son sentita uscire fuori di me stessa ed ho trovato l’adorabile Gesù mio; ma oh, quanto mi vedevo piena di peccati innanzi alla sua presenza! Nel mio interno mi sentivo un forte desiderio di fare la mia confessione a Nostro Signore; quindi, a lui rivolgendomi, ho incominciato a dire le mie colpe, e Gesù mi ascoltava. Quando ho finito di dire, rivolgendosi a me con un volto pieno di mestizia mi ha detto:

“Figlia mia, il peccato è un abbraccio velenoso e mortifero all’anima, non solo, ma come pure a tutte le virtù che nell’anima si trovano; se è grave. Se poi è veniale è un abbraccio feritore che rende l’anima debole ed inferma, ed insieme con essa si infermano le virtù che aveva acquistato. Che arma micidiale è il peccato! Solo il peccato può ferire e dar morte all’anima. Nessun’altra cosa può nuocerle, nessun’altra cosa la rende innanzi a me obbrobriosa, odiosa, che il solo peccato”.

Mentre diceva ciò, io comprendevo la bruttezza del peccato e sentivo tale una pena che non so neppure esprimerla. E Gesù vedendomi tutta compenetrata ha alzato la benedetta destra ed ha pronunziato le parole del­l’assoluzione. Dopo poi ha soggiunto: “Come il peccato ferisce e dà morta all’anima, così il sacramento della confessione dà la vita e la risana dalle ferite e restituisce il vigore alle virtù; e questo più o meno secondo le disposizioni dell’anima. Così opera la virtù del sacramento”.

Mi pareva che l’anima mia avesse ricevuto nuova vita, non scorgevo più quel fastidio di prima, dopo che Gesù mi diede l’assoluzione. Sia sempre ringraziato e glorificato il Signore!

 

Gennaio 6, 1900  (26)

La confidenza ha due braccia, con uno si abbraccia all’umanità di Gesù, con l’altro si abbraccia alla sua Divinità.

Questa mattina ho fatta la comunione ed essendomi trovata insieme con Gesù, ci stava la Mamma Regina; ed oh, meraviglia! Guardavo la Madre e vedevo il cuore di lei trasmutato in Gesù bambino; guardavo il Figlio e vedevo nel cuore del bambino la Madre. In questo mentre mi son ricordata che oggi era l’Epifania ed io, ad esempio dei Santi Magi, dovevo offrire qualche cosa al bambino Gesù, ma mi vedevo che non avevo niente che dargli.

Allora vedendo la mia miseria mi è venuto il pensiero di offrire per mirra il mio corpo con tutte le sofferenze dei dodici anni che ero stata nel letto, pronta a soffrire ed a starvi quant’altro tempo a lui piacesse; per oro, la pena che sento quando mi priva della sua presenza, che è la cosa più penosa e dolorosa per me; per incenso, le mie povere preghiere unite a quelle della Regina Mam­ma acciocché fossero più accettevoli al bambino Gesù. Onde ne ho fatto l’offerta con tutta la confidenza che il bambino avesse tutto accettato. Gesù pareva che con molto gusto accettasse le mie povere offerte, ma quello che più gustava era la confidenza con cui l’avevo offerto, onde mi ha detto:

“La confidenza ha due braccia, con uno si abbraccia alla mia umanità e della mia umanità se ne serve come scala per salire alla mia Divinità; con l’altro si abbraccia alla Divinità ed a torrenti vi attinge le grazie celesti, sicché l’anima vi resta tutta inondata dell’Essere Divino. Quando l’anima è confidente, è certa di ottenere ciò che domanda. Io mi faccio legare le braccia, le faccio fare ciò che vuole, la faccio penetrare più dentro il mio cuore e da essa stessa faccio prendere quello che mi ha domandato. Se ciò non facessi, mi sentirei in uno stato di violenza”.

Mentre ciò diceva, dal petto del bambino e da quello della Madre uscivano tanti ruscelli di liquore, ma non so dire proprio come si chiamava quello che dico liquore, che tutta m’inondavano l’anima. La Regina Madre è scomparsa.

Dopo ciò, insieme col bambino siamo usciti fuori nella volta dei cieli; il suo grazioso volto lo vedevo mesto. Ho detto tra me: “Forse vorrà le carezze della Regina Mamma”. Allora me lo sono stretto fortemente al cuore e Gesù bambino ha preso un aspetto giulivo. Chi può dire ciò che passava tra me e Gesù? Non ho lingua a saperlo manifestare né vocaboli per poterlo descrivere.

 

Gennaio 8, 1900  (27)

Dice Gesù: “Il mio retaggio è la fermezza e la stabilità, non sono soggetto a mutamento alcuno”.

Stavo pensando tra me: “Chi sa quanti spropositi, quanti errori contengono queste cose che scrivo!”

In questo mentre mi son sentita perdere i sensi ed è venuto il benedetto Gesù e mi ha detto: “Figlia mia, anche gli errori gioveranno, e questo a far conoscere che non c’è nessun artifizio da parte tua né che tu sei qualche dottore, che se ciò fosse, tu stessa avresti avvertito dove erravi. Questo pure farà risplendere di più che sono io che ti parlo, vedendo la cosa alla semplice; ma però ti assicuro che non troveranno l’ombra del vizio e cosa che non dica virtù; perché mentre tu scrivi ti sto io stesso guidando la mano; al più potranno trovare cosa che a primo aspetto parrà errore, ma se la rimireranno ben bene, vi troveranno la verità”.

Detto ciò è scomparso. Ma dopo qualche ora di tempo è ritornato ed io mi sentivo tutta titubante ed impensierita sulle parole che mi aveva detto, e lui ha soggiunto:

“Il mio retaggio è la fermezza e la stabilità, non sono soggetto a mutamento alcuno, e l’anima quanto più si avvicina a me e si inoltra nella via della virtù, tanto più si sente ferma e stabile nell’operare il bene; e quanto più sta da me lontana, tanto più sarà soggetta a mutarsi ed a traballare ora al bene ed ora al male”.

 

Gennaio 12, 1900  (28)

“Un Dio per amor mio umiliato e confuso, ed io peccatrice senza di queste divise!”

Trovandomi nel solito mio stato, l’amabile mio Gesù è venuto in uno stato compassionevole. Teneva le mani legate strettamente ed il volto coperto di sputi, e parecchie persone che lo schiaffeggiavano orribilmente. E lui se ne stava quieto, placido, senza fare un motto e muovere un lamento; neppure un muovere di ciglia, per far vedere che lui voleva soffrire quegli oltraggi, e questo non solo esternamente, ma anche internamente. Che spettacolo commovente, da fare spezzare i cuori più duri! Quante cose diceva quel volto con quegli sputi pendenti, imbrattato di fango! Io mi sentivo inorridire, tremavo, mi vedevo tutta superbia innanzi a Gesù. Mentre stava in quest’aspetto lui mi ha detto:

“Figlia mia, i soli piccolini si lasciano maneggiare come si vuole; non quelli che sono piccoli di ragione umana, ma quelli che sono piccoli di ragione divina. Io posso dire che sono umile, che nell’uomo ciò che si dice umiltà, piuttosto si deve dire conoscenza di sé stesso, e chi non conosce sé stesso cammina già nella falsità”.

Per qualche minuto Gesù ha fatto silenzio ed io me ne stavo a contemplarlo. Mentre ciò io facevo ho visto una mano che portava una luce, che frugando nel mio interno, nei più intimi nascondigli, voleva vedere se fosse in me la conoscenza di me stessa e l’amore alle umiliazioni e alle confusioni ed agli obbrobri. Quella luce trovava un vuoto nel mio interno ed io pur lo vedevo che doveva essere riempito di umiliazioni e confusioni, ad esempio del benedetto Gesù. Oh, quante cose mi faceva comprendere quella luce e quel volto santo che mi stava innanzi! Dicevo tra me:

“Un Dio per amor mio umiliato e confuso, ed io peccatrice senza di queste divise! Un Dio stabile, fermo nel sopportare tante ingiurie, tanto che non si muove un tantino per scuotersi da quegli sputi fetenti! Ah, mi si fa manifesto il suo interno innanzi a Dio, il suo esterno innanzi agli uomini, e vedo che se egli volesse respingere ogni patire, ogni oltraggio, di tutto resterebbe libero. Ma vedo che non le catene lo legano, ma la sua stabile Volontà che a qualunque costo vuol salvare il genere umano. Ed io, ed io? Dove sono le mie umiliazioni? Dove la fermezza, la costanza nell’operare il bene per amor del mio Gesù e del mio prossimo? Ahi, che vittime differenti siamo io e Gesù! Ahi, che non ci conformiamo affatto!”

Mentre il mio piccolo cervello si perdeva in queste considerazioni, il mio adorabile Gesù mi ha detto: “Solo la mia umanità fu ripiena di obbrobri e di umiliazioni, tanto da traboccarne fuori; ecco perciò innanzi alle mie virtù trema il cielo e la terra, e le anime che mi amano si servono della mia umanità come scala per salire e lambire qualche gocciolina delle mie virtù. Dimmi un po’: dinnanzi alla mia umiltà dove è la tua? Solo io posso gloriarmi di possedere la vera umiltà.

La mia Divinità unita alla mia umanità poteva operare prodigi in ogni passo, con le parole ed opere, ed invece volontariamente mi restringevo nel cerchio della mia umanità e mi mostravo il più povero e giungevo a confondermi cogli stessi peccatori. L’opera della Redenzione in pochissimo tempo potevo operarla ed anche per una sola parola; ma volli per il corso di tanti anni, con tanti stenti e patimenti, fare mie le miserie dell’uo­mo; volli esercitarmi in tante diverse azioni per fare che l’uomo fosse tutto rinnovato, divinizzato anche nelle mi­nime opere, perché esercitate da me che ero Dio ed uomo, ricevevano uno splendore nuovo e restavano con l’impronta di opere divine.

La mia Divinità nascosta nella mia umanità, [volle] scendere a tante bassezze, assoggettarsi al corso delle azioni umane, mentre con un solo atto di Volontà avrei potuto creare infiniti mondi, [volle] sentire le miserie, le debolezze altrui, come fossero di essa mia umanità, e [volle] vedere questa, coperta di tutti i peccati degli uomini innanzi alla divina giustizia e che ne dovevo pagare il fio col prezzo di pene inaudite e con lo sborso di tutto il mio sangue. Così esercitavo continui atti di profonda umiltà, ed eroica. Eccoti o figlia la diversità grandissima della mia umiltà con l’umiltà delle creature che innanzi alla mia appena è un’ombra; anche quella di tutti i miei santi, perché la creatura è sempre creatura e non conosce quanto pesa la colpa come lo conosco io; sia pure che anime eroiche, sul mio esempio si sono offerte a soffrire le pene altrui, ma queste non son diverse da quelle delle altre creature; non son cose nuove per loro perché son formate dalla stessa creta. Poi il solo pensare che quelle pene sono causa di nuovi acquisti e che glorificano Iddio è un grande onore per loro. Oltre di ciò la creatura è ristretta nel cerchio dove Iddio l’ha messa né può uscire da quei limiti ond’[18]è stata circuita da Dio. Oh, se stesse in loro potere il fare e il disfare, quant’al­tre cose non farebbero! Ognuno giungerebbe alle stelle.

Ma la mia umanità divinizzata non aveva limiti, ma volontariamente si restringeva in sé stessa e questo era un intrecciare tutte le mie opere di eroica umiltà. Era stata questa la causa di tutti i mali che inondano la terra, cioè la mancanza di umiltà; ed io con l’esercizio di questa virtù dovevo attirare dalla divina giustizia tutti i beni. Ah, ché non si partono dal mio trono rescritti di grazia se non per mezzo dell’umiltà! Né alcun biglietto può essere da me ricevuto se non contiene la firma dell’umiltà. Nessuna preghiera ascoltano le mie orecchie e muove a compassione il mio cuore, se non è profumata dall’olez­zo dell’umiltà. Se la creatura non giunge a distruggere quel germe d’onore, di stima, e questo si distrugge col giungere ad amare di essere disprezzata, umiliata, confusa, sentirà un intreccio di spine intorno al cuore, avvertirà un vuoto nel suo cuore che le darà sempre fastidio e la renderà molto dissimile dalla mia santissima umanità. E se non giunge ad amare le umiliazioni, al più potrà qualche poco conoscere se stessa, ma non risplenderà innanzi a me vestita della bella e simpatica veste dell’umiltà”.

Chi può dire quante cose comprendevo su questa virtù e la differenza tra il conoscere sé stessa e l’umiltà? Mi pareva di toccare con mano la distinzione di queste due virtù, ma non ho parola come spiegarmi. Per dire qualche cosa mi avvalgo di un’idea, per esempio: un povero conosce che è povero, ed anche a persone che non lo conoscono e che forse possono credere che possiede qualche cosa manifesta schiettamente la sua povertà. Si può dire che conosce sé stesso e dice la verità, e per questo viene più amato, muove gli altri a compassione del suo misero stato e tutti l’aiutano. Tale è il conoscere sé stesso. Se poi quel povero, vergognandosi di manifestare la sua povertà menasse vanto che lui è ricco, mentre tutti sanno che lui non tiene neppure le vesti come coprirsi e si muore di fame, che avviene? Tutti lo disprezzano, nessuno l’aiuta ed addiviene soggetto di burla e di ridicolaggine a chiunque lo conosce; ed il misero, andando di male in peggio, finisce col perire. Tale è la superbia innanzi a Dio ed anche innanzi agli uomini. Ed ecco che chi non conosce sé stesso già esce dalla verità e precipita nella via della falsità.

Seguitando questo esempio ne viene di conseguenza un’altra forma di umiltà eroica che prende pure il merito della conoscenza di sé stesso. Figuriamoci un ricco il quale nato fra gli agi e le ricchezze conosce bene di essere tale, di possedere ogni sorta di beni temporali, ma considerando le profonde umiliazioni alle quali si assog­gettò Nostro Signore Gesù Cristo per nostro amore, si innamora della santa umiltà, abbandona le ricchezze e tutti gli agi, si spoglia delle sue nobili vesti, si copre di miseri cenci, vive sconosciuto, a nessuno manifesta chi egli sia, si confonde coi più poveri, vive coi poveri come se fosse loro pari, fa le sue delizie i disprezzi e le confusioni[19]. Allora in costui si trova ciò che avviene nei santi, i quali tanto più si umiliano per quanto più conoscono che il Signore li colma delle sue grazie e dei suoi doni contro ogni loro merito.

Tanto nel primo esempio dei due poveri detti avanti, quanto in questo ricco, si vede come la conoscenza di sé stesso senza l’umiltà nuoce e a nulla giova, ma quanto genera l’umiltà è preziosissimo. Ah, sì! L’umiltà chiama la grazia, l’umiltà spezza le catene più forti, l’umiltà supera qualunque muro di divisione tra l’anima e Dio e a lui la ritorna. L’umiltà è la piccola pianta, ma sempre verde e fiorita, non soggetta ad essere rosa dai vermi, né i venti, la grandine, il caldo potranno portarle nocumento né farla menomamente appassire. L’umiltà, sebbene è la più piccola pianta, pure manda fuori rami altissimi che penetrano fino nel cielo e si intrecciano intorno al cuore di Nostro Signore; e solo i rami che escono da questa piccola pianta hanno libera entrata in quel cuore adorabile. L’umiltà è l’àncora della pace nelle tempeste delle onde di questa vita. L’umiltà è sale che condisce tutte le virtù e preserva l’anima dalla corruzione del peccato. L’umiltà è l’erbetta che spunta sulla via battuta dai viandanti; l’umiltà mentre è calpestata scomparisce, ma subito si vede spuntare più bella di prima. L’umiltà è qual innesto gentile che ingentilisce la pianta selvatica. L’umiltà è il tramonto della colpa. L’umiltà è la moneta della grazia. L’umiltà è qual luna che ci guida nelle tenebre della notte di questa vita. L’umiltà è come quello scaltro negoziante che sa ben trafficare le sue ricchezze, non ne fa sciupio neppure d’un centesimo della grazia che gli vien data. L’umiltà è la chiave della porta del cielo, sicché nessuno può entrarvi se non si tiene ben custodita questa chiave.

Finalmente, altrimenti non la finisco più ed andrei troppo per le lunghe, l’umiltà è il sorriso di Dio e di tutto l’empireo, ed il pianto di tutto l’inferno.

 

Gennaio 17, 1900  (29)

“Signore non voglio venire nel cielo senza le vostre divise; prima crocifiggetemi e poi portatemi”.

Questa mattina il mio adorabile Gesù andava e ritornava, ma sempre in silenzio; dopo mi son sentita uscire fuori di me stessa, e Gesù me lo sentivo da tergo che diceva:

“In molti non c’è più rettitudine, i cattivi dicono: ‘Fino a tanto che le cose staranno in questo modo, non potremo avere nessuna riuscita ai nostri intenti; affettiamo virtù, fingiamoci retti, mostriamoci veri amici esternamente, che così sarà più facile tessere le nostre reti e tirarli nell’inganno, e quando usciremo fuori per predarli e far loro del male, ognuno credendoci amici, l’avremo a mano salvo[20] nelle nostre mani’. Vedi un po’ dove giunge l’astuzia dell’uomo!”

Dopo ciò il benedetto Gesù, volendo un atto di riparazione speciale, pareva che mi troncasse la vita offrendomi alla divina giustizia. Nell’atto che ciò faceva, io credevo che Gesù mi facesse passare da questa vita, onde ho detto: “Signore non voglio venire nel cielo senza le vostre divise; prima crocifiggetemi e poi portatemi”.

Così mi ha trapassato coi chiodi le mani e i piedi, e mentre ciò faceva, con mio sommo rammarico lui è scomparso ed io mi son trovata in me stessa. Ho detto tra me: “Qui sto ancora! Ahi, quante volte me la fate, mio caro Gesù, ed avete un’arte a parte a saperla fare[21], che mi fate credere che devo morire, quindi io me la rido del mondo, delle pene, me la rido di voi stesso, che è finito il tempo di starci separati, non ci saranno più intervalli di separazione; ma appena incomincia il riso, che trovandomi[22] un’altra volta legata nei ceppi del muro di questo fragile corpo, dimenticando di avere incomin­ciato a ridere, continuo il mio pianto, i gemiti, i sospiri della mia separazione con voi. Ah, Signore, fate presto a venire, che mi sento violentata!”

 

Gennaio 22, 1900  (30)

Dice Gesù: “Quel che ti raccomando è la corrispondenza alla mia grazia”.

Dopo aver passato giorni amarissimi di privazione, il mio povero cuore lottava tra il timore d’averlo perduto e la speranza, chi sa potessi di nuovo rivederlo. Oh, Dio, che guerra sanguinolenta ha dovuto sostenere questo povero mio cuore! Era tanta la pena che or si agghiacciava ed or era premuto come sotto un torchio e gocciolava sangue. Mentre mi trovavo in questo stato mi son sentita vicino il mio dolce Gesù, che togliendomi un velo che mi impediva di vederlo, finalmente ho potuto vederlo. Subito gli ho detto: “Ah, Signore, non mi vuoi più bene!”

E lui: “Sì, sì, quel che ti raccomando è la corrispondenza alla mia grazia, e per essere fedele devi essere come quell’eco che risuona dentro un vuoto, che non appena [si] incomincia ad emettere la voce, subito senza il minimo indugio si sente rimbombare l’eco appresso. Così tu non appena incominci a ricevere la mia grazia, senza neppure aspettare che la compisca di dare, subito incomincia l’eco della tua corrispondenza”.

 

Gennaio 27, 1900  (31)

Nell’anima tutto dev’essere ordinato.

Continuo a restare quasi priva del mio dolce Gesù, la mia vita vien meno per la pena; mi sento un tedio, una noia, una stanchezza della vita! Andavo dicendo nel mio interno: “Oh, come si è prolungato il mio esilio! Oh, qual felicità sarebbe la mia se potessi sciogliere i legami di questo corpo e così l’anima prenderebbe libero il volo verso il mio sommo Bene!”

Un pensiero mi ha detto: “E se tu vai all’inferno?” Ed io per non chiamare il demonio a combattermi, subito mi sono sbrigata col dire: “Ebbene, anche dall’inferno manderò i miei sospiri al mio dolce Gesù, anche lì voglio amarlo”.

Mentre mi trovavo in questi pensieri ed altri, che sarebbe troppo lunga la storia il ridirli tutti, l’amabile Gesù per poco tempo si è fatto vedere, ma in un aspetto serio, e mi ha detto: “Non è arrivato ancora il tuo tempo”.

Poi con una luce intellettuale mi faceva comprendere che nell’anima tutto dev’essere ordinato. L’anima possiede tanti piccoli appartamenti dove ogni virtù pren­de il suo posto, sebbene si può dire che una sola virtù contiene in sé tutte le altre, e che l’anima possedendone una sola, viene ad essere corredata da tutte le altre virtù; ma con tutto ciò sono tutte distinte fra loro, tanto che ognuna vi tiene il suo posto nell’anima; ed ecco che tutte le virtù hanno il loro principio dal mistero della Sacrosanta Trinità, che mentre è Uno sono Tre distintamente, e mentre sono Tre è Uno. Comprendevo pure che questi appartamenti nell’anima, o son pieni di virtù o del vizio opposto a quella virtù, e se non c’è né la virtù né il vizio, restano vuoti. A me pareva come una casa che contiene tante stanze tutte vuote, o pure quelle stanze, chi piene di serpi, chi di fango, chi ripiena di qualche mobile pieno di polvere, chi oscura. Ah, Signore, solo voi potete mettere in ordine la povera anima mia!

 

Gennaio 28, 1900  (32)

La mortificazione dissecca tutti gli umori cattivi che ci sono nell’anima e la inonda d’un umore santificante.

Continua ancora lo stesso. Questa mattina [Gesù] mi ha trasportato fuori di me stessa, dopo tanto tempo pare che ho visto Gesù con chiarezza; ma mi vedevo tanto cattiva che non ardivo dire una sola parola; ci guardavamo ma in silenzio. In quegli sguardi a vicenda comprendevo che il mio buon Gesù era ripieno di amarezze, ma non ardivo dire: “Versatele in me”. Lui stesso si è avvicinato a me ed ha incominciato a versarle ed io, non potendo contenerle, come ricevevo le gettavo per terra. Lui mi ha detto: “Che fai? Non vuoi partecipare più alle mie amarezze? Non vuoi darmi più sollievo nelle mie pene?”

Ed io: “Signore, non è la mia volontà, non so io stessa che cosa mi è avvenuto; mi sento tanto ripiena che non ho dove contenerle. Solo un vostro prodigio può più allargare il mio interno e così potrò ricevere le vostre amarezze”.

Allora Gesù mi ha segnato con un segno grande di croce ed ha versato di nuovo; così pare che ho potuto contenerle le sue amarissime amarezze, e dopo ha soggiunto: “Figlia mia, la mortificazione è come il fuoco che fa disseccare tutti gli umori, così la mortificazione dissecca tutti gli umori cattivi che ci sono nell’anima e la inonda d’un umore santificante, in modo da far germogliare le più belle virtù”.

 

Gennaio 31, 1900  (33)

Il passaporto per entrare nel regno della grazia è l’umiltà.

Dopo esser [Gesù] venuto parecchie volte, ma sempre in silenzio, ed io mi sentivo un vuoto ed una pena, ché non sentivo la voce dolcissima del mio dolce Gesù; e lui ritornando, quasi per contentarmi, mi ha detto: “La grazia è la vita dell’anima. Come al corpo dà vita l’ani­ma, così la grazia dà vita all’anima; ma non basta al corpo, per aver vita, aver l’anima solamente, ma abbisogna ancora di un cibo come nutrirsi e crescere a debita statura. Così [al]l’anima non basta aver la grazia per aver vita, ma ci vuole un cibo per nutrirla e condurla a debita statura. E qual è questo cibo? È la corrispondenza, sicché la grazia e la corrispondenza formano quella catena inanellata che la conducono in cielo; ed a misura che l’anima corrisponde, la grazia viene formando gli anelli di questa catena”.

Poi ha soggiunto: “Qual è il passaporto per entrare nel regno della grazia? È l’umiltà. L’anima, guardando sempre il suo nulla e scorgendosi non essere altro che polvere, che vento, tutta la sua fiducia la rimetterà nella grazia, tanto da renderla padrona, e la grazia prendendo padronanza su tutta l’anima la conduce per il sentiero di tutte le virtù e la fa giungere all’apice della perfezione”.

Che cosa è l’anima senza la grazia? Mi pareva il corpo senza l’anima, che diventa puzzolente e fa scaturire vermi e marciume da tutte le parti, tanto da rendersi oggetto d’orrore alla stessa vista umana. Così l’anima senza la grazia si rende tanto abominevole da fare orrore alla vista non degli uomini, ma di quel Dio tre volte santo. Ah, Signore, liberatemi da tanta sciagura e dal mostro abominevole del peccato!

 

Febbraio 4, 1900  (34)

Lo scoraggiamento e la sconfidenza rendono l’anima moribonda.

Trovandomi in uno stato pieno di scoraggiamento, specialmente per la privazione del mio sommo Bene, questa mattina, facendosi vedere quando appena, mi ha detto: “Lo scoraggiamento è un umore infettivo che infetta i più bei fiori ed i più graditi frutti e penetra fin al fondo della radice, in modo che quell’umore infettante, invadendo tutto l’albero, lo rende appassito, squallido, e se non vi [si] pone rimedio con l’innaffiarlo con l’umore contrario, siccome quell’umore cattivo si è introdotto fin nella radice, dissecca la radice e fa cadere l’albero per terra. Così succede all’anima che s’imbeve di quel­l’umore infettivo dello scoraggiamento”.

Con tutto ciò io mi sentivo ancor scoraggiata, tutta rannicchiata in me stessa e mi scorgevo tanto cattiva che non ardivo slanciarmi verso il dolce Gesù. La mia mente era occupata [dal pensiero] che per me era inutile di più sperare[23] come prima le continue visite di lui, le sue grazie, i suoi carismi; tutto per me era finito. E lui quasi sgridandomi ha soggiunto: “Che fai? Che fai? Non sai tu che la sconfidenza rende l’anima moribonda? Che pensando che deve morire non pensa più a nulla, né ad acquistare né a mettere a traffico la grazia né ad abbellirsi di più né quasi a porvi rimedio ai suoi malori; non pensa altro [se non] che per lei è finito; e non solo rende l’ani­ma moribonda, ma tutte le virtù la sconfidenza le rende vicine a spirare”.

Ah, Signore, m’immagino di vedere questo spettro della sconfidenza squallido, macilente, pauroso, tutto tre­mante, e tutta la sua maestria, non con altro congegno, ma con la paura, conduce le anime alla tomba. Ma quel ch’è più [è] che questo spettro non si mostra nemico, che l’anima può schernirsi della sua paura, ma si mostra amico e s’infiltra tanto segretamente nell’anima che se l’anima non sta attenta, parendole amico fedele che agonizza insieme e giunge a morire insieme, difficilmente si saprà liberare dalla sua artificiosa maestria.

 

Febbraio 5, 1900  (35)

La fiducia evita all’anima di farsi legare dalla sconfidenza.

Continuando lo stesso stato ma con un po’ di coraggio di più, ma non libera perfettamente, il mio carissimo Gesù nel venire mi ha detto:

“Figlia mia, delle volte l’anima sente un incontro in qualche virtù, e l’anima facendosi forza supera quel­l’incontro; allora la virtù resta più risplendente e più radicata nell’anima. Ma l’anima deve stare attenta per evitare ch’essa stessa somministri la funicella per farsi legare dalla sconfidenza; e questo lo farà col dilatare il suo cuore nella fiducia, sebbene permane sempre nel circolo della verità, che è la conoscenza del proprio nulla”.

 

Febbraio 12, 1900  (36)

La verità è luce che portò il Verbo sulla terra.

Trovandomi in uno stato d’abbandono da parte del mio adorabile Gesù, il mio povero cuore me lo sentivo per il dolore premere come sotto un torchio. Oh, Dio, che pena inenarrabile!

Mentre mi trovavo in questo stato, quasi ad[24] ombra, ho visto il mio caro Bene, ma non chiaro, solo ho visto chiaro una mano che mi pareva che portava una lampada e mi ungeva la parte del cuore esacerbata al sommo dal dolore della sua privazione, ed in questo mentre ho sentito una voce che diceva:

“La verità è luce che portò il Verbo sulla terra. Come il sole illumina, vivifica e feconda la terra, così la luce della verità dà vita, luce, e rende feconde le anime di virtù. Sebbene molte nubi, quali sono le iniquità degli uomini, offuscano questa luce di verità, con tutto ciò non lascio, da dietro le nubi, di mandare barlumi di luce vivificante onde riscaldare le anime; e se queste nubi sono nubi d’imperfezione e difetti involontari, questa luce squarciandole col suo calore, le fa svanire e liberamente s’introduce nell’anima”.

Onde comprendevo che l’anima deve stare attenta a non cadere anche nell’ombra del difetto volontario, che sono quelle nubi pericolose che impediscono l’entrata alla luce divina.

 

Febbraio 13, 1900  (37)

La mortificazione ha virtù di cuocere tutte le imperfezioni e difetti che si trovano nell’anima.

Questa mattina dopo aver fatta la comunione ho visto il mio adorabile Gesù, ma tutto cambiato di aspetto. Mi pareva serio, tutto ritenutezza, in atto di rimproverarmi. Che cambiamento straziante! Il mio povero cuore, anziché venire sollevato me lo sentivo più oppresso, più trafitto, alla presenza così insolita di Gesù. Eppure mi sentivo tutto il bisogno di un sollievo, per le pene sofferte nei giorni passati, della sua privazione, che mi pareva che vivessi, ma agonizzante ed in continua violenza. Ma Gesù benedetto volendo rimproverarmi che andavo cercando sollievo alla sua presenza, mentre non dovevo cercare altro che patire, mi ha detto:

“Come la calce ha virtù di concuocere gli oggetti che vi si menano dentro, così la mortificazione ha virtù di cuocere tutte le imperfezioni e difetti che si trovano nell’anima, e giunge a tanto che spiritualizza anche il corpo, e come cerchio vi si pone d’intorno e vi suggella tutte le virtù. Fino a tanto che la mortificazione non ti concuoce ben bene l’anima come il corpo, fino a disfarlo, non può suggellare perfettamente in te il marchio della mia crocifissione”.

Dopo ciò, non so dire bene chi fosse, ma mi pareva che fosse un angelo, mi ha trapassato le mani ed i piedi, e Gesù con una lancia che usciva dal suo cuore mi ha trapassato il mio con estremo dolore ed è scomparso lasciandomi più afflitta di prima. Oh, come comprendevo bene la necessità della mortificazione, mia inseparabile amica, e che in me non esisteva neppure l’ombra d’ami­cizia con la mortificazione! Ah, Signore, legatemi con voi, con indissolubile amicizia con questa buona amica, che da me non so mostrarmi che tutta rustichezza, e quella non vedendosi da me accolta con buon viso, mi usa tutti i riguardi, mi va sempre risparmiando, temendo che le abbia a voltare le spalle del tutto, e mai compie con me il suo bello e maestoso lavorio; poiché, stante che stiamo un po’ lontane, non giungono le sue mani prodigiose fino a me in modo da potermi lavorare e presentarmi a voi come opera degna delle sue santissime mani.

 

Febbraio 16, 1900  (38)

Se l’anima respira l’aria della mortificazione, tutto starà in lei purificato.

Continua quasi sempre lo stesso. Questa mattina, dopo avermi rinnovate le pene della crocifissione, [Gesu] mi ha detto:

“La mortificazione deve essere il respiro dell’anima. Come al corpo è necessaria la respirazione, e dall’aria buona o cattiva che si respira così resta infettata o purificata, come pure dalla respirazione si conosce se è sano o infermo l’interno dell’uomo, se tutte le parti vitali vanno d’accordo, così l’anima, se respira l’aria della mor­tificazione, tutto starà in lei purificato, tutti i suoi sensi suoneranno di uno stesso suono concordante, il suo interno rimanderà un respiro balsamico, salutare, forti­ficante. Se poi non respira l’aria della mortificazione, tutto sarà discordante nell’anima, manderà un respiro puzzolente, stomachevole; mentre sta per domare una passione, un’altra si sfrena. Insomma la sua vita non sarà altro che un giuoco di fanciullo”.

Mi pareva di vedere la mortificazione come uno strumento musicale, che se le corde sono tutte buone e forti produce un suono armonioso e gradito; se poi le corde non sono buone, ora bisogna aggiustare una, ora accordarne un’altra, onde tutto il tempo lo [si] impiega ad aggiustare, ma mai a suonare; al più se si proverà di suonarlo, ne uscirà un suono discordante e sgradito, quindi non si farà mai niente di buono.

 

Febbraio 19, 1900  (39)

Il nostro secolo andrà rinomato per la superbia.

Questa mattina il mio adorabile Gesù è venuto e mi ha trasportata fuori di me stessa. Ci vedevo molta gente tutta in movimento, ma non so dire certo, come una guerra oppure rivoluzione, ed a Nostro Signore non faceva altro che intrecciare corone di spine, tanto che mentre me ne stavo tutta attenta a toglierne una, un’altra più dolorosa ne conficcavano. Ah, sì, pareva proprio che il nostro secolo andrà rinomato per la superbia! La più grande sventura è il perdere la testa, perché perduta che uno abbia la testa con il cervello, tutte le altre membra si rendono inabili o si rendono nemiche di sé stesso e degli altri, quindi ne avviene che la persona dà una rotta a tutti gli altri vizi. Il mio paziente Gesù tollerava tutte quelle corone di spine, ed io appena avevo tempo di toglierle, onde si è voltato a loro e ha detto: “Chi nella guerra, chi nelle carceri e chi ai terremoti; pochi ne rimarrete. La superbia ha formato il corso delle azioni della vostra vita e la superbia vi darà la morte”.

Dopo ciò il benedetto Gesù mi ha tirato da mezzo a quella gente, e, facendosi bambino lo portavo nelle mie braccia per farlo riposare, ed ha soggiunto: “Figlia, la mia vita l’ebbi dal cuore, distintamente dagli altri; ecco perciò una ragione perché son tutto cuore per le anime e perché son portato a volere il cuore e non tollero neppure un’ombra di ciò che non è mio; onde fra te e me voglio tutto distintamente per me, e quello che concederai alle creature non sarà altro che il trabocco del nostro amore”.

 

Febbraio 20, 1900  (40)

Dice Gesù: “Io sono il lume che manda luce a tutti”.

Continua il mio benigno Gesù a venire. Dopo aver fatta la comunione, mi ha rinnovato le pene della crocifissione ed io son rimasta tanto intirizzita che mi sentivo bisogno di sollievo, ma non ardivo chiederlo.

Dopo poco è ritornato da bambino e tutta mi abbracciava e dalle sue labbra correva un latte ed io ho bevuto a larghi sorsi quel latte dolcissimo dalle sue purissime labbra. Ora mentre ciò facevo, mi ha detto:

“Io sono il fiore dell’Eden celeste ed è tanto il profumo che vi spando, che al mio olezzo vi resta attirato tutto l’empireo; e siccome io sono il lume che manda luce a tutti, tanto da tenerli inabissati nella luce, tutti i miei santi attingono da me le loro piccole lucerne, onde non c’è luce nel cielo che non è stata attinta da questo lume”.

Ah, sì, non c’è neppure odore di virtù senza Gesù, e non c’è luce ancorché si andasse nel più alto dei cieli, senza Gesù!

 

Febbraio 21, 1900  (41)

Il dono della purità non è dono naturale, ma è grazia conseguita.

Questa mattina il mio amabile Gesù ha incominciato a fare i suoi soliti indugi. Sia sempre benedetto, che comincia sempre da capo. Davvero che ci vuole una pazienza di santo a sopportarlo e bisogna aver [a] che fare con Gesù per vedere che pazienza ci vuole! Chi non lo prova non può crederlo, ed è quasi impossibile non avere qualche piccolo cruccio con lui.

Onde, dopo aver pazientato ad aspettarlo e riaspettarlo, finalmente è venuto e mi ha detto: “Figlia mia, il dono della purità non è dono naturale, ma è grazia conseguita, e questo si ottiene col rendersi simpatico, e l’anima si rende tale con la mortificazione e coi patimenti. Oh, come si rende simpatica l’anima mortificata e sofferente! Oh, come è speciosa! Ed io vi prendo tale simpatia da impazzire per essa, e tutto ciò che vuole le dono. Tu, quando sei priva di me, per amor mio soffri la mia privazione ch’è la pena più dolorosa per te, ed io prenderò più simpatia di prima e ti concederò nuovi doni”.

 

Febbraio 23, 1900  (42)

Il segno più certo per conoscere se è Volontà di Dio uno stato, è quando uno si sente la forza a sostenere quello stato.

Questa mattina, dopo aver perduto quasi la speranza che il benedetto Gesù venisse, tutto all’improvviso è venuto e mi ha rinnovato le pene della sua crocifissione, e mi ha detto: “Il tempo è giunto, il fine s’appressa, ma l’ora è incerta”.

Ed io, senza approfondire il significato delle parole che diceva, son rimasta in dubbio se devo attribuirlo o alla completa crocifissione oppure ai castighi, e gli ho detto: “Signore, quanto temo il mio stato che non fosse Volontà di Dio!”

E lui: “Il segno più certo per conoscere se è Volontà mia uno stato, è quando uno si sente la forza a sostenere quello stato”.

Ed io: “Se fosse tua volontà non succederebbe questo cambiamento che voi non ci venite come prima”.

E lui: “Quando una persona si sente famigliare in una famiglia, non si usano tutte quelle cerimonie, quei riguardi che si usavano prima, quando si sentiva estranea. Così faccio io; ma con ciò non è segno che è volontà di quella famiglia che non la vogliono tenere con loro, né che non l’amano meglio di prima. Perciò statti quieta, lascia fare a me, non volerti crivellare il cervello, funestare la pace del cuore. A tempo opportuno conoscerai il mio operato”.

 

Febbraio 24, 1900  (43)

L’ubbidienza deve rendere l’anima come molle cera.

Questa mattina mi trovavo tutta timore; credevo che tutto era fantasia ossia demonio che voleva illudermi. Onde tutto ciò che vedevo, disprezzavo e mi dispiacevo. Vedevo il confessore che metteva l’intenzione che Gesù mi rinnovasse i dolori della crocifissione, ed io cercavo di resistere. Il benedetto Gesù in principio mi tollerava, ma siccome il confessore replicava l’intenzione, allora Gesù mi ha detto: “Figlia mia, davvero che questa volta mancheremo all’ubbidienza?! Non sai tu che l’ubbidien­za deve suggellare l’anima e che l’ubbidienza deve rendere l’anima come molle cera, in modo che il confessore può dare quella forma che vuole?”

Così non curando le mie resistenze, mi ha partecipato i dolori della crocifissione; ed io non potendo più resistere al comando di Gesù e del confessore, giacché non volevo cedere per il timore che non fosse Gesù, con tutto ciò ho dovuto soccombere sotto il peso dei dolori. Sia sempre benedetto e tutto sia per glorificarlo in tutto e sempre!

 

Febbraio 26, 1900  (44)

L’anima non uscendo mai dal circolo della mia Volontà, tutte le sue operazioni ripercuotono nel centro del sole divino.

Dopo aver passati parecchi giorni di privazione [di Gesù], al più veniva qualche volta ad ombra e sfuggiva, sentivo tale pena che mi struggevo in lagrime. Il benedetto Gesù avendo compassione del mio dolore è venuto e tutta mia guardava e riguardava e poi mi ha detto:

“Figlia mia, non temere, che non ti lascio; ma però quando tu sei senza la mia presenza non voglio che ti disanimi, anzi da oggi innanzi, quando sei priva di me, voglio che prendi la mia Volontà e in quella ti bei, amandomi e glorificandomi nella mia Volontà e tenendo la mia Volontà come fosse la mia stessa persona. Facendo così, tu mi terrai nelle stesse tue mani. Che cosa forma la beatitudine del paradiso? Certo la mia Divinità. Or chi formerà la beatitudine dei miei cari sulla terra? Con certezza la mia Volontà. Questa non ti potrà mai sfuggire. L’avrai sempre in tuo possesso e se tu starai nel circolo della mia Volontà, ivi proverai le gioie ineffabili e i piaceri più puri. L’anima, non uscendo mai dal circolo della mia Volontà, si rende nobile, doviziosa, e tutte le sue operazioni ripercuotono nel centro del sole divino come i raggi del sole ripercuotono sulla superficie della terra, e non ne esce neppure una[25] fuori dal centro che è Dio. L’anima che fa la mia Volontà è la sola nobile mia regina, che si nutrisce dal mio alito perché il suo cibo e le sue bevande non le prende che dalla mia Volontà; e nutrendosi della mia Volontà tutta santa, nelle sue vene scorrerà un sangue purissimo, il suo alito spirerà un profumo olezzante, che tutto mi ricrea perché prodotto dal mio stesso alito. Perciò non voglio altro da te [se non] che formi la tua beatitudine nel giro della mia Volontà, senza mai uscirne neppure per un breve istante”.

Mentre ciò diceva, nel mio interno vi sentivo un allarme ed un timore che il parlare di Gesù indicava che non doveva venire e che io dovevo quietarmi nella sua Volontà. Oh, Dio, che pena mortale! Che strettezze di cuore! Ma Gesù sempre benigno ha soggiunto: “Come posso lasciarti se tu sei vittima? Allora non ci verrò, quando tu cesserai d’essere vittima; ma finché sarai vittima mi sentirò sempre tirato a venire”.

Così pare che son restata quieta, ma mi sento come circondata dall’adorabile Volontà di Dio in modo che non trovo nessuna apertura da dove uscirne. Spero che mi voglia tenere sempre in questo cerchio che mi congiunge tutta a Dio.

 

Febbraio 27, 1900  (45)

Grande è il male che fanno gli uomini mormorando l’un contro l’altro, perché attirano l’indignazione divina.

Essendomi tutta abbandonata nell’amabile Volontà di Nostro Signore, io mi vedevo tutta circondata dal mio dolce Gesù da fuori e da dentro. Con l’essermi abbandonata in lui, nel suo Divino Volere, mi vedevo come se il mio essere fosse divenuto trasparente, e dovunque mi rivolgevo vedevo il mio sommo Bene. Ma quello che mi faceva meraviglia era che, mentre mi vedevo circondata da dentro e da fuori da Gesù, così io, il mio povero essere, la mia volontà, circondava Gesù come dentro di un circolo in modo che lui non trovava l’apertura come potersene uscire, perché la mia volontà unita alla sua lo teneva incatenato, senza che mi potesse sfuggire. Oh, ammirabile segreto della Volontà del mio Signore, indescrivibile è la felicità che da te viene!

Ora, mentre mi trovavo in questo stato, il benedetto Gesù mi ha detto: “Figlia mia, nell’anima tutta trasformata nel mio Volere, io vi trovo un dolce riposo. Quel­l’anima diviene per me come quelle sedie o letti morbidi e soffici che non danno nessuna molestia a chi vuole riposarsi, anzi, ancorché siano persone stanche ed addolorate ad usarli, è tanta la morbidezza ed il piacere che prendono nel riposarsi su di essi, che nel risvegliarsi si trovano forti e sane. Tale è per me l’anima conformata al mio Volere, ed io in ricompensa mi faccio legare dalla sua volontà e vi faccio splendere il sole divino come nel pieno meriggio”.

Detto ciò è scomparso. Dopo poi, avendo fatta la santa comunione, è ritornato e mi ha trasportato fuori di me stessa; ci vedevo molta gente e Gesù mi diceva: “Dì loro, dì loro che grande è il male che fanno col mormorarsi l’un l’altro, perché attirano la mia indignazione, e questo con giustizia, vedendo che mentre sono soggetti alle stesse miserie e debolezze, non fanno altro che alzar tribunale uno contro l’altro. Se così fanno tra loro, che farò io, che sono santo e puro, con loro? Invece se con carità si giudicano e si compatiscono l’uno con l’altro, così mi sento tirato ad usare misericordia con loro”.

Gesù lo diceva a me ed io lo ripetevo a quella gente; e dopo ci siamo ritirati.

 

Marzo 2, 1900  (46)

Dice Gesù: “Il tuo alimento voglio che sia il patire, non come solo patire ma come frutto della mia Volontà”.

Questa mattina, avendo fatta la santa comunione, il mio dolce Gesù si faceva vedere crocifisso, ed internamente mi sentivo tirata a specchiarmi in lui per potermi a lui rassomigliare, e Gesù si specchiava in me per tirarmi alla sua rassomiglianza. Mentre così faceva, io mi sentivo infondere in me i dolori del mio crocifisso Signore, che con tutta bontà mi ha detto:

“Il tuo alimento voglio che sia il patire, non come solo patire ma come frutto della mia Volontà. Il bacio più sincero che lega più forte la nostra amicizia è l’unione dei nostri voleri ed il nodo indissolubile che ci stringerà in continui abbracciamenti sarà il continuo patire”.

Mentre ciò diceva il benedetto Gesù si è schiodato e ha preso la sua croce e la distendeva nell’interno del mio corpo, ed io vi rimanevo pur tanto distesa che mi sentivo slogare le ossa. Di più una mano, ma non so dire [per] certo di chi era, mi trapassava le mani ed i piedi; e Gesù, che stava seduto sulla croce che stava distesa nel mio interno, tutto si compiaceva del mio patire e di colui che mi trapassava le mani, ed ha soggiunto: “Adesso mi posso riposare tranquillamente; non ho da prendermi neppure il fastidio di crocifiggerti perché l’ubbidienza vuole operare tutto essa, ed io liberamente ti lascio nelle mani dell’ubbidienza”.

E sfuggendo da sopra la croce, si è messo sopra il mio cuore per riposarsi. Chi può dire quanto sono rimasta sofferente stando in quella posizione? Dopo essere stata lungo tempo, Gesù non si sbrigava di sollevarmi come le altre volte per farmi ritornare nello stato natu­rale. Quella mano che mi aveva messo sulla croce non la vedevo più; lo dicevo a Gesù e [lui] mi rispondeva: “Chi ti ha messo sulla croce? Sono stato forse io? È stata l’ubbidienza; e l’ubbidienza ti deve togliere”.

Pare che questa volta aveva voglia di scherzare, ed a somma grazia ho ottenuto che mi liberasse il benedetto Gesù.

 

Marzo 7, 1900  (47)

L’anima conformata al Volere Divino giunge a disarmare Gesù come vuole.

Questa mattina trovandomi fuori di me stessa ho do­vuto girare e rigirare per trovare il benedetto Gesù. Per fortuna sono entrata dentro una chiesa e l’ho trovato sopra un altare dove si celebrava il Divin Sacrifizio; subito son corsa e me lo sono abbracciato dicendogli: “Finalmente vi ho trovato; mi avete fatto tanto girare, fino a stancarmi, e voi state qui”.

E lui guardandomi serio, non con la solita sua benignità, mi ha detto: “Questa mattina mi sento molto amareggiato e mi sento tutta la necessità di mettere mano ai castighi per sgravarmi”.

Ed io subito ho risposto: “Caro mio, non è niente, rimedieremo subito. Verserete in me le vostre amarezze e così resterete sgravato, non è vero?”

E lui condiscendendo al mio dire ha versato in me le sue amarezze. Dopo poi, tutta stringendomi a lui, come se si fosse liberato da un grave peso ha soggiunto:

“L’anima conformata al mio Volere si sa tanto infiltrare nella mia potenza che giunge a legarmi tutto ed a suo piacere mi disarma come vuole. Ah, tu, tu, quante volte mi leghi!” E mentre così diceva, ha preso il suo solito aspetto dolce e benigno.

 

Marzo 9, 1900  (48)

Chi esce dalla mia Volontà esce dalla luce e si confina nelle tenebre.

Trovandomi un po’ turbata sopra un argomento, la mia mente voleva andare vagando per assicurarsi sulla mia turbazione e così restarmene in pace. Ma il benedetto Gesù volendomi contraddire il mio volere, m’impe­-diva che potessi vedere ciò che volevo, e siccome io insistevo di voler vedere mi ha detto: “Perché vuoi andare vagando? Non sai tu che chi esce dalla mia Volontà esce dalla luce e si confina nelle tenebre?”

E volendomi quasi distrarre da ciò che io volevo, mi ha trasportata fuori di me stessa e cambiando discorso ha soggiunto: “Vedi un po’ quanto mi sono ingrati gli uomini! Come la luce del sole riempie tutta la terra da un punto all’altro ‑ in modo che non vi è terra che non gode il benefizio della sua luce, non vi è persona che può lamentarsi d’essere priva dei suoi benefici influssi, tanto vero che il sole investendo tutto l’universo per poter dare luce a tutti, lo prende come in sua mano, solo può lamentarsi di non godere della sua luce chi sfuggendo dalla sua mano va a nascondersi in luoghi tenebrosi; eppure il sole continuando il suo caritatevole uffizio, lascia da mezzo le sue dita mandargli[26] qualche spiraglio di luce ‑ così la mia grazia è un’immagine del sole, che dappertutto inonda le genti: poveri, ricchi, ignoranti e dotti, cristiani ed infedeli. Nessuno, nessuno può dire d’esserne privo, perché la luce della verità e l’influsso della mia grazia riempie la terra al pari del sole nel suo pieno meriggio.

Ma qual è la mia pena nel vedere le genti che traversando questa luce ad occhi chiusi ed affrontando la mia grazia col torrente pestifero delle loro iniquità, fuor­viando da questa luce, volontariamente vivono in luoghi tenebrosi, in mezzo a nemici crudeli! Essi[27] sono esposti a mille pericoli, perché non avendo la luce non possono conoscere chiaramente se si trovano in mezzo ad amici o nemici, e sfuggire dai pericoli che li circondano.

Ah, se il sole avesse ragione e dagli uomini si potesse[28] fare questo affronto alla sua luce, e taluni, giungendo a tale ingratitudine che per indispettire e non vedere il suo chiarore, si caverebbero[29] gli occhi e così restano[30] più sicuri di vivere nelle tenebre, ah, il sole invece di mandare luce manderebbe lamenti e lacrime di do­lore, da mettere sossopra tutta la natura! Eppure ciò che si avrebbe orrore di rendere alla luce naturale, gli uomini giungono a tale eccesso da affrontare in tal modo la mia grazia; ma la mia grazia sempre benigna con loro, in mezzo alle stesse tenebre ed alla follia della loro cecità, manda sempre barlumi di luce, perché la mia grazia mai lascia nessuno, ma l’uomo volontariamente se ne esce da essa, e la grazia, non avendola [l’uomo] in sé, cerca di seguirlo coi barlumi della sua luce”.

Mentre ciò diceva, il dolce Gesù era estremamente afflitto ed io facevo per quanto potevo, per consolarlo, pregandolo di versare in me le sue amaritudini. E lui ha soggiunto: “Compatisci se ti son causa di afflizione, perché di tanto in tanto mi sento tutta la necessità di sfogare in parole il mio dolore sull’ingratitudine degli uomini, con le anime mie dilette, per muovere i loro cuori a ripararmi in tanto eccesso ed a compassione degli stessi uomini”.

Ed io: “Signore, quello che vorrei è che non mi risparmiate di partecipare alle vostre pene”. E volendo io stessa più dire, è scomparso ed io sono ritornata in me stessa.

 

Marzo 10, 1900  (49)

Quanto maggiore è l’ubbidienza, altrettanto l’anima si rende abile a distruggere ciò che è materiale.

Questa mattina, avendo fatto la santa comunione, vedevo il mio caro Gesù da bambino con una lancia in mano in atto di volermi trapassare il cuore; e siccome avevo detto una cosa al confessore, Gesù volendomi rimproverare mi ha detto: “Tu vuoi causare il patire ed io voglio che incominci una nuova vita di sofferenze e di ubbidienza”.

E mentre ciò diceva, mi ha trapassato il cuore con la lancia e poi ha soggiunto:

“Come il fuoco arde secondo le legna che vi si mettono [e] così tiene maggiore attività nel bruciare e consumare gli oggetti che vi si menano dentro, e per quanto è maggiore il fuoco altrettanto è maggiore il calore e la luce che contiene, così l’ubbidienza, per quanto è maggiore, altrettanto l’anima si rende abile a distruggere ciò che è materiale, e l’ubbidienza come a molle cera le dà la forma che vuole”.

 

Marzo 11, 1900  (50)

Dice un’anima purgante: “Noi stiamo tanto immersi in Dio che non possiamo neppure muovere le ciglia se non abbiamo da lui il concorso”.

Continua quasi sempre lo stesso. Questa mattina vedevo il buon Gesù più afflitto del solito, minacciando una mortalità di gente, e vedevo in certi paesi che molti ne morivano. Dopo son passata dal purgatorio, e conoscendo un’amica defunta l’ho interrogata su varie cose sopra il mio stato, specialmente se è Volontà di Dio il mio stato, se è vero che è Gesù che viene oppure il demonio, “perché ‑ le ho detto ‑ siccome tu ti trovi innanzi alla verità e conosci con chiarezza senza che ti puoi ingannare, puoi dirmi la verità dei fatti miei”.

Ed essa mi ha detto: “Non temere. È Volontà di Dio il tuo stato e Gesù ti vuole bene assai, perciò si benigna manifestarsi teco”.

Ed io proponendole alcuni dubbi l’ho pregata che si benignasse di vedere innanzi alla luce della Verità se erano veri o falsi e mi facesse la carità di venirmelo a dire, e se ciò facesse, io in ricompensa le farei celebrare una messa in suo suffragio. Ed essa ha soggiunto: “Se vuole il Signore, perché noi stiamo tanto immersi in Dio che non possiamo neppure muovere le ciglia se non abbiamo da lui il concorso. Noi abitiamo in Dio come una persona abitasse in un altro corpo, che tanto può pensare, parlare, guardare, operare, camminare, per quanto le vien dato da quel corpo che la circonda da fuori; perché a noi non è come a voi che avete il libero arbitrio, la propria volontà; per noi ogni volontà si può dire cessata, la nostra volontà è solo la Volontà di Dio. Di quella viviamo, in quella troviamo tutto il nostro contento ed essa forma tutto il nostro bene e la nostra gloria”.

E mostrando un contento indicibile di questa Volontà di Dio, ci siamo separate.

 

Marzo 14, 1900  (51)

Come fare per tirare gli animi al cattolicesimo e per togliere tanta miscredenza.

Avendomi il confessore data l’ubbidienza di pregare il Signore di manifestarmi il modo come fare per tirare gli animi al cattolicesimo e per togliere tanta miscredenza, io ho pregato parecchi giorni ed il Signore si benignava di manifestarsi su questo punto. Finalmente questa mattina mi son trovata fuori di me stessa, trasportata dentro un giardino, e mi pareva che fosse il giardino della Chiesa, ed ivi erano tanti sacerdoti e altre dignità che disputavano sopra questo soggetto, e mentre disputavano usciva un cane di smisurata grossezza e fortezza, che la maggior parte restavano tanto impauriti e spossati che giungevano a farsi morsicare da quella bestia, e dopo si ritiravano vigliacchi dall’impresa. Solo, quel cane inferocito non aveva forza di mordere quei soli che avevano come centro Gesù nel proprio cuore, che quindi veniva a formare il centro di tutte le loro azioni, pensieri e desideri. Ah, sì, Gesù formava il suggello di queste persone, e quella bestia restava tanto debole che non aveva forza neppure di fiatare.

Ora mentre disputavano io mi sentivo Gesù da dietro le spalle che diceva: “Tutte le altre società conoscono chi appartiene al loro partito, solo la mia Chiesa non conosce chi sono i suoi figli.

Il primo passo è conoscere chi sono coloro che le appartengono, e questi li possiate [31] conoscere con lo stabilire un giorno una riunione in cui li inviterete, che chi è cattolico v’intervenisse al luogo ben destinato per tale riunione, ed ivi con l’aiuto dei cattolici secolari stabilire quello che conviene fare. Il secondo passo [è] di obbligare alla confessione quei cattolici che v’intervengono, cosa principale che rinnova l’uomo e forma i veri cattolici, e questo, non solo a quelli che si trovano presenti, ma obbligare chi è padrone che obbligasse i suoi sudditi alla confessione, e quando non giungono con le buone, anche col rimandarli dal loro servizio. Quando ogni sacerdote avrà formato il gruppo dei suoi cattolici, allora potranno inoltrarsi ad altri passi superiori, perché il riconoscere l’opportunità del tempo come[32] inoltrarsi nei partiti, e la prudenza nell’esporsi, è come la potazione degli alberi che fa produrre grossi e stagionati frutti. Ma se l’albero non è potato, vi fa sì una bella pompa di primole[33] e di fiori, ma appena cade una brina, soffia un vento, non avendo l’albero umore sufficiente e forza onde sostenere tanti fiori per ricambiarli in frutti, avviene che i fiori se ne cadono e lui vi rimane spogliato. Così succede nelle cose di religione; prima dovete formarvi un corpo di cattolici conveniente da poter fare fronte agli altri partiti, e poi potete giungere ad inoltrarvi negli altri partiti per formarne uno solo”.

Detto ciò non l’ho sentito più e senza neppure vederlo mi son trovata in me stessa. Chi può dire la mia pena per non aver visto il benedetto Gesù per tutto il giorno, e le lacrime che ho dovuto versare?

 

Marzo 15, 1900  (52)

Dice Gesù: “Anche a stare in buono con una sola creatura, mi sento disarmato e non ho forza a metter mano ai castighi”.

Continuando a non venire [Gesù], io mi struggevo in dolore e mi sentivo una febbre da dare in delirio. Ora, siccome il confessore è venuto a celebrare il Divin Sacrifizio, ho fatto la comunione, ma non vedevo secondo il solito il mio caro Gesù. Onde ho incominciato a dire i miei spropositi: “Dimmi mio Bene perché non ti fai ve­dere? Questa volta pare a me che non ti abbia dato occasione per sottrarti! Come, alla buona alla buona mi lasci? Ahi, neppure gli amici di questa terra agiscono in questo modo! Quando devono star lontani almeno si dicono addio, e tu neppure a dirmi addio? Come, così si fa? Perdonami se così parlo; è la febbre che fa dare in delirio e mi fa giungere alla follia”.

Chi può dire tutti gli spropositi che gli ho detto? Sarebbe un voler perder tempo. Ora, mentre stavo delirando e piangendo, Gesù ora faceva vedere una mano, ora un braccio. Quando ho visto il confessore che mi dava l’ubbidienza di soffrire la crocifissione, e Gesù come costretto dall’ubbidienza si ha fatto vedere, ed io subito a lui: “Perché non ti facevi vedere?”

E lui mostrando un aspetto severo ha detto: “È niente, è niente, è che voglio castigare la terra, ed io anche a stare in buono con una sola creatura, mi sento disarmato e non ho forza a metter mano ai castighi; perché col farmi vedere tu incominci a dire, se vedi che devo mandare castighi: ‘Versate a me, fate soffrire me’, ed io mi sento vincere da te e mai metto mano ai castighi, e gli uomini non fanno altro che imbaldanzire di più”.

Or, continuando il confessore a replicare l’ubbi­dienza di farmi soffrire la crocifissione, Gesù si mostrava molto lento a farmi fare questa ubbidienza, non come le altre volte, che subito voleva che mi sottomettessi, e ha detto a me: “E tu, che vuoi fare?”

Ed io: “Signore, quello che voi volete”.

Allora volgendosi al confessore con aspetto serio, gli ha detto: “Anche tu vuoi legarmi col darle queste ubbidienze di farmela soffrire?”

E mentre ciò diceva, ha incominciato a parteciparmi i dolori della croce, e dopo mostrandosi placato ha versato le sue amarezze, e poi ha soggiunto: “Il confessore dove sta?”

Ed io: “Signore, non so dove è andato. È certo che non lo vedo più con noi”.

E lui: “Lo voglio, che siccome lui ha ristorato me, così io voglio ristorare lui”.

 

Marzo 17, 1900  (53)

Il Santo Padre va in cerca dei suoi figli per raccoglierli sotto le sue ali.

Questa mattina il benedetto Gesù mi faceva vedere il Santo Padre con le ali aperte, che andava in cerca dei suoi figli per raccoglierli sotto le sue ali; e sentivo i suoi lamenti che diceva: “Figli miei, quante volte ho cercato di radunarvi sotto le mie ali, e voi mi sfuggite! Deh, ascoltate i miei lamenti ed abbiate compassione del mio dolore!”

E mentre ciò diceva, piangeva amaramente, e pareva che non erano i soli secolari che si scostavano dal Papa ma anche i sacerdoti, e questi davano più dolore al Santo Padre. Quanta pena faceva, vedere il Papa in questa posizione!

Dopo ciò ho visto Gesù che faceva eco ai lamenti del Santo Padre e soggiungeva: “Fra quelli che sono rimasti fedeli, alcuni vivono a sé, non hanno lo zelo di esporsi per la mia gloria e per il bene delle anime, altri sono trattenuti da vari timori, altri dicono, propongono, promettono, ma non vengono ai fatti”.

Detto ciò è scomparso. Dopo poco è ritornato ed io mi sentivo tutta annientata in me stessa alla presenza di Gesù, e lui vedendomi annichilita mi ha detto:

“Figlia mia, quanto più ti abbassi in te stessa tanto più mi sento tirato ad abbassarmi verso di te ed empirti della mia grazia. Ecco perciò che l’umiltà è foriera della luce”.

 

Marzo 20, 1900  (54)

Luisa vuole impedire a Gesù di mandare castighi.

Avendo fatta la santa comunione vedevo il mio dolce Gesù che m’invitava ad uscire fuori con lui, con patto, però, che se dovevo andare insieme dove vedevo che Gesù era costretto per i peccati a mandare castighi, non dovevo contrastare con lui perché non li mandasse; con questa condizione siamo usciti, girando la terra.

Prima ho incominciato a vedere non tanto lontano da noi, specialmente in certi punti, tutto disseccato. Onde a lui rivolta ho detto: “Signore, come farà questa povera gente se le mancherà il cibo per nutrirsi? Deh, voi tutto potete; come lo avete fatto disseccare, così fatelo rinverdire”. E siccome teneva la corona di spine, ho disteso la mano dicendogli: “Mio Bene, che cosa vi ha fatto questa gente? Forse vi ha messa questa corona di spine? Ebbene datela a me, così resterete placato e le darete il cibo per non farli perire”. E togliendogliela l’ho premuta sulla mia testa.

Mentre ciò facevo Gesù mi ha detto: “Si vede che non posso portarti, perché portare te e non poter far niente è lo stesso”.

Ed io: “Signore, non ho fatto niente; perdonatemi, se conoscete che ho fatto male, ma deh, portatemi insieme con voi!”

E lui: “Il tuo modo d’agire mi lega dappertutto”.

Ed io: “Non sono io che faccio così, siete voi stesso che mi fate operare in questo modo, perché trovandomi con voi vedo che le cose tutte sono vostre, e se io non prendessi cura delle vostre cose mi pare che verrei a non curare voi stesso. Perciò dovete perdonarmi se agisco in questo modo, che per amor vostro lo faccio, e non dovete allontanarmi per questo”.

Dopo abbiamo continuato a girare. Io facevo quanto potevo a non dirgli niente per non dargli occasione che mi facesse ritirare, e perdere la sua amabile presenza; ma dove non potevo incominciavo a contrastare. Giunti ad un punto dell’Italia, stavano facendo un combinato che[34] doveva venire un gran dissesto, ma non ho capito che cosa fosse, perché avendo incominciato a dire: “Signore, non permettete! Povera gente, come faranno?”, vedendo Gesù che io mi affannavo e volevo impedir­glielo, mi ha detto con impero: “Ritirati, ritirati!”, e togliendosi una cinta di chiodi, di spilli, che teneva incarnati nel suo corpo, che lo faceva molto soffrire, ha soggiunto: “Ritirati e portati questa cinta con te, che mi darai molto sollievo”.

Ed io: “Sì, me la metterò in vece vostra, ma lasciatemi stare con voi”.

E lui: “No, ritirati!”

E l’ha detto con tale impero che, non potendo resistere, in un istante mi son trovata in me stessa e non ho potuto capire che cosa fosse il combinato.

 

Marzo 25, 1900  (55)

Come il sole è la luce del mondo, così il Verbo di Dio nell’incarnarsi divenne la luce delle anime.

Questa mattina il mio adorabile Gesù, nell’atto di venire mi ha detto: “Come il sole è la luce del mondo, così il Verbo di Dio nell’incarnarsi divenne la luce delle anime; e come il sole materiale dà luce in generale ed a ciascuno in particolare, tanto che ognuno lo può godere come se fosse suo, così il Verbo mentre dà luce in generale è sole per ciascuno in particolare; tanto vero che questo sole divino ognuno lo può tener con sé come se fosse solo”.

Chi può dire quello che comprendevo su questa luce, e i benefici effetti che ridondano nelle anime che tengono questo sole come se fosse loro proprio? Mi pareva che l’anima possedendo questa luce mette in fuga le tenebre dello spirito, come il sole materiale con lo spuntare sul nostro orizzonte mette in fuga le tenebre della notte. Questa luce divina, se l’anima è fredda la riscalda, se è nuda di virtù la rende feconda; se inondata dal morbo pestifero della tiepidezza, col suo calore assorbe quell’umore cattivo. In una parola, per non andare troppo per le lunghe, questo sole divino, introducendo[la] nel centro della sua sfera ricopre l’anima con tutti i suoi raggi e giunge a trasformare l’anima nella sua stessa luce.

Dopo ciò, siccome io mi sentivo tutta affranta, Gesù, volendomi ristorare, mi ha detto: “Questa mattina voglio dilettarmi con te”, ed ha incominciato a fare i suoi soliti stratagemmi amorosi.

 

Aprile 1, 1900  (56)

Gesù con la sua grazia cambia le passioni dell’anima in tante virtù.

Dopo aspettare e riaspettare, il mio dolce Gesù si faceva vedere da dentro il cuore. Mi pareva di vedere un sole che spandeva i raggi, e guardando nel centro di questo sole vi scorgevo il volto di Nostro Signore; ma quello che mi ha fatto stupire è che vedevo nel mio cuore tante donzelle vestite di bianco con corona in testa, che attorniavano questo sole divino, nutrendosi di questi raggi che spandeva questo sole. Oh, come erano belle, modeste, umili, e tutte intente a bearsi in Gesù! Onde non conoscendo il significato di ciò, con un po’ di timore ho chiesto a Gesù di farmi sapere chi erano quelle donzelle, e Gesù mi ha detto: “Queste donzelle erano le tue passioni, che ora con la mia grazia ho cambiato in tante virtù che mi fanno nobile corteggio. Stanno tutte a mia disposizione, ed io in ricompensa le vado nutrendo con la mia continua grazia”.

Ah, Signore, eppure mi sento tanto cattiva che mi vergogno di me stessa!

 

Aprile 2, 1900  (57)

Gesù non giudica secondo le opere, ma secondo la volontà con cui si opera.

Questa mattina ho dovuto molto soffrire per l’assen­za del mio caro Gesù, ma però ha ricompensato le mie pene col soddisfare il mio desiderio di voler sapere una cosa che da molto tempo bramavo. Onde dopo aver girato e rigirato in cerca di Gesù, or lo chiamavo con la preghiera, or con le lacrime, or col canto, chi sa potesse restar ferito dalla mia voce e così farsi trovare; ma tutto indarno. Ho replicato i gemiti, a chiunque trovavo domandavo di lui.

Finalmente, quando il mio cuore si sentiva crepare e che non ne potevo più, l’ho trovato, ma lo vedevo di tergo, e ricordandomi di una resistenza che gli feci, che dirò nel libro del confessore, gli ho chiesto perdono, e così pare che ci siamo messi d’accordo, tanto che lui stesso mi ha domandato che cosa volessi, ed io gli ho detto: “Compiacetevi di farmi conoscere la vostra Volontà sul mio stato, specialmente che cosa devo fare quando mi trovo con poche sofferenze e voi non venite, e se venite è quasi ad ombra. Onde non vedendo voi, i miei sensi me li sento in me stessa, e trovandomi in questa posizione mi sento come se ci mettessi del mio e non fosse necessario aspettare la venuta del confessore per uscire da quello stato”.

E Gesù: “O soffri o non soffri, o vengo o non vengo, il tuo stato è sempre di vittima; molto più che questa è la mia Volontà e la tua, ed io giudico non secondo le opere che si fanno, ma secondo la volontà con cui si opera”.

Ed io: “Signore mio, va bene come dite, ma mi pare che sto[35] inutile e si perde molto tempo, e mi sento un fastidio, un timore; e poi far venire il confessore, mi tormenta l’anima che non fosse Volontà vostra”.

E lui: “Pensi tu che fosse peccato il far venire il confessore?”

Ed io: “No, ma temo che non fosse tua Volontà”.

E lui: “Del peccato devi fuggire anche l’ombra, ma del resto non devi darti pensiero”.

Ed io: “Se non fosse tua Volontà a che pro starci?”

E lui: “Oh, mi pare che la figlia mia vuole sfuggire lo stato di vittima, non è vero?”

Ed io, tutta arrossendo, ho detto: “No, Signore, dico questo per quando qualche volta non mi fate soffrire e voi non venite; del[36] resto fatemi soffrire ed io non mi darò nessun pensiero”.

E Gesù: “E a me pare che vuoi sfuggire. Poi, sai tu quando ho riservato di venire a comunicarti le mie pene, se [al]la prima, [al]la seconda, [al]la terza o anche [al]l’ul­tima ora? Onde, distraendoti da me e sforzandoti ad uscire ti occuperai in altro, ed io venendo non ti troverò preparata e prenderò la mia volta e me ne andrò altrove”.

Ed io tutta spaventata: “Non sia mai, o Signore! Non voglio altro sapere che la vostra Santissima Volontà”.

E lui: “Statti calma ed aspetta il confessore”. Detto ciò è scomparso.

Pare che mi sento sgravata da un gran peso, da questo parlare di Gesù; ma con tutto ciò non è scemata in me la pena dolorosa [di] quando Gesù mi priva di lui.

 

Aprile 9, 1900  (58)

Il non abbandonarsi in Gesù è un volere usurpare i diritti della sua divinità.

Avendo questa mattina fatto la santa comunione, mi trovavo in un mare di amarezze, ché non vedevo il mio sommo bene Gesù. Tutto il mio interno me lo sentivo messo in allarme, quando in un istante si è fatto vedere e mi ha detto, quasi rimproverandomi:

“Non sai tu che il non abbandonarsi in me è un volere usurpare i diritti della mia divinità, facendomi un grande affronto? Perciò abbandonati, quieta il tuo interno tutto in me e troverai la pace, e trovando la pace troverai me stesso”.

Detto ciò, come lampo è scomparso senza farsi più vedere. Ah, Signore, tenetemi voi tutta abbandonata e ben stretta nelle vostre braccia, in modo che non possa mai sfuggire, altrimenti farò sempre delle scappatine!

 

Aprile 10, 1900  (59)

L’umiltà è come calamita che attira Gesù all’anima.

Continua il benedetto Gesù a non venire. Oh, Dio, che pena indicibile è la sua privazione! Cercavo quanto più potevo di starmene in pace e tutta abbandonata in lui, ma che! Il mio povero cuore non ne poteva più; facevo quanto più potevo per calmarlo e dicevo: “Cuor mio, aspettiamo un altro poco, chi sa [se] viene. Usiamo qualche stratagemma per tirarlo a venire”.

Onde rivolta a lui gli dicevo: “Signore venite, l’ora si fa tarda, e voi non venite ancora? Questa mattina cerco quanto posso a starmi quieta, eppure non vi fate trovare? Signore, vi offro il martirio della vostra privazione come attestato d’amore e come farvi un presente per attirarvi a venire. È vero che non son degna, ché senza di voi mi sento mancare la vita”. E siccome non veniva gli dicevo: “Signore, o venite o vi stancherò col mio dire, e quando vi sarete stancato, neppure allora ci dovrete venire?”

Ma chi può dire tutti i miei spropositi? Gliene dicevo tanti che andrei troppo per le lunghe se volessi dire tutto. Dopo ciò, quando appena ho veduto il mio dolce Gesù che si muoveva dentro il mio interno, come se si risvegliasse da un sonno, onde si è fatto vedere più chiaro, e trasportandomi fuori di me stessa mi ha detto:

“Come l’uccello quando deve volare batte le ali, così l’anima [che è] mia, ai voli dei desideri batte le ali dell’umiltà, ed in quei battiti manda una calamita che mi attira, in modo che mentre lei prende il suo volo per venire a me, io prendo il mio per andare a lei”.

Ah, Signore, si vede che mi manca la calamita del­l’umiltà! Se io nel mio cammino spandessi ovunque la calamita dell’umiltà, non stenterei tanto ad aspettare e riaspettare la tua venuta!

 

Aprile 16, 1900  (60)

Il passaporto per entrare nella beatitudine che l’ani­ma può possedere su questa terra, deve essere firmato con la rassegnazione, l’umiltà e l’ubbidienza.

Dopo aver passati giorni amari e di privazione e di rimproveri del benedetto Gesù per le mie ingratitudini e resistenze al suo Volere ed alle sue grazie, questa mattina mi ha detto:

“Figlia mia, il passaporto per entrare nella beatitudine che l’anima può possedere su questa terra, deve essere firmato con tre firme, e queste sono: la rassegnazione, l’umiltà e l’ubbidienza. La rassegnazione perfetta al mio Volere è cera che liquefa i nostri voleri[37] e ne forma uno solo, è zucchero e miele, ma per ogni resistenza al mio Volere la cera si disunisce, lo zucchero si rende amaro ed il miele si converte in veleno. Or non basta essere rassegnata, ma l’anima deve essere convinta che il maggior bene per sé ed il maggior modo di glorificarmi è il far sempre la mia Volontà. Ecco la necessità della firma dell’umiltà, perché l’umiltà produce questa conoscenza. Ma chi nobilita queste due virtù, chi le fortifica, chi le rende perseveranti, chi le incatena insieme in modo da non potersi separare, chi le incorona? L’ubbidienza!

Ah, sì, l’ubbidienza, distruggendo affatto il proprio volere e tutto ciò che è materiale, spiritualizza tutto, e come corona si pone intorno. Onde la rassegnazione e l’umiltà senza l’ubbidienza saranno soggette ad instabilità, ma con l’ubbidienza saranno fisse e stabili. Ed ecco la stretta necessità della firma dell’ubbidienza, per fare che questo passaporto possa correre, per passare al regno della beatitudine spirituale che l’anima può godere di qua. Senza queste tre firme, il passaporto non avrà valore e l’anima sarà sempre respinta dal regno della be­atitudine e sarà costretta a stare nel regno dell’inquietu­dine, dei timori e dei pericoli, e per sua disgrazia avrà per dio il proprio io, e quest’io sarà corteggiato dalla superbia e dalla ribellione”.

Dopo ciò mi ha trasportato fuori di me stessa, dentro un giardino che pareva che fosse il giardino della Chiesa, in cui vedevo che fuorviavano da cinque a sei persone, sacerdoti e secolari, che unendosi coi nemici della Chiesa muovevano una rivoluzione. Che pena faceva vedere Gesù benedetto piangere il triste stato di queste persone! Poi ho guardato nell’aria e vedevo una nube d’acqua ripiena di pezzi di ghiaccio grossi che cadevano sopra la terra. Oh, quanto strazio facevano sopra i raccolti e sopra l’umanità! Ma però spero che voglia placarsi. Onde più afflitta di prima son ritornata in me stessa.

 

Aprile 20, 1900  (61)

La croce è uno specchio dove l’anima rimira la Divinità.

Continua il mio amabile Gesù a venire, quando appena e ad[]38 ombra, ed anche a[39] venire non dice niente. Questa mattina, poi, dopo avermi rinnovato i dolori della croce per ben due volte, guardandomi con tenerezza mentre stavo soffrendo lo spasimo delle trafitture dei chiodi mi ha detto:

“La croce è uno specchio dove l’anima rimira la Divinità, e rimirandosi ne ritrae i lineamenti, la rassomiglianza più consimile a Dio. La croce non solo si deve amare, desiderare, ma farsene un onore, una gloria della stessa croce. Questo è operare da Dio e diventare come Dio per partecipazione, perché solo io mi gloriai della croce e me ne feci un onore del patire e l’amai tanto che in tutta la mia vita non volli stare un momento senza la croce”.

Chi può dire ciò che comprendevo della croce e da questo parlare del benedetto Gesù? Ma mi sento muta d’esprimerlo con le parole. Ah, Signore, vi prego a tenermi sempre confitta in croce, affinché avendo sempre dinanzi questo specchio divino, possa tergere tutte le mie macchie ed abbellirmi sempre più a vostra somiglianza!

 

Aprile 21, 1900  (62)

Non c’è mai separazione tra Dio e l’anima crocifissa.

Trovandomi nello stesso stato, anzi, con un poco di timore per cosa mia particolare, il mio dolce Gesù nel venire mi ha detto: “... E sono i vasi sacri ed è necessario di tanto in tanto spolverarli. I vostri corpi sono tanti vasi sacri in cui vi faccio la mia dimora, perciò è necessario che vi faccia di tanto in tanto delle spolveratine, cioè che li visiti con qualche tribolazione, per fare che io vi stia sempre con più decoro. Perciò statti calma”.

Dopo ciò, avendo fatta la santa comunione ed egli avendomi rinnovati i dolori della crocifissione, ha soggiunto: “Figlia mia, quanto è preziosa la croce! Vedi un po’: il sacramento del mio corpo, nel darsi all’anima, la unisce con me, la trasmuta fino a diventare una stessa cosa con me, ma col consumarsi delle specie si disunisce l’unione realmente contratta; ma la croce no, [essa] prende Iddio e l’unisce con l’anima per sempre e con maggiore sicurezza lei si pone come suggello. Dunque la croce suggella Iddio nell’anima, in modo che non c’è mai separazione tra Dio e l’anima crocifissa”.

 

Aprile 23, 1900  (63)

La rassegnazione al Divino Volere è olio che unge e mitiga lo spasimo delle piaghe di Gesù.

Questa mattina, trovandomi fuori di me stessa vedevo il mio dolce Gesù che soffriva molto, ed io l’ho pregato che mi facesse parte delle sue pene, e lui mi ha detto: “Anche tu soffri, piuttosto io mi metto nel tuo posto e tu fammi l’ufficio d’infermiera”.

Così pareva che Gesù si mettesse nel mio letto, ed io in piedi accanto a lui; incominciavo a rialzargli la testa e ad una ad una gli toglievo le spine che stavano conficcate nel suo benedetto capo. Poi sono andata al suo corpo ed ho visitato tutte le sue piaghe, le [40] asciugavo il sangue e le baciavo; ma non avevo come ungerle per mitigare lo spasimo, quando ho visto che dal mio petto usciva un olio, ed io lo prendevo ed ungevo le piaghe di Gesù; ma facevo ciò con un certo timore, ché non capivo che cosa significasse quell’olio che usciva da me. Ma Gesù benedetto mi ha fatto capire che la rassegnazione al Divino Volere è olio che, mentre unge e mitiga le nostre pene, nel medesimo tempo è olio che unge e mitiga lo spasimo delle piaghe di Gesù. Onde, dopo essere stata per un buon pezzo di tempo a far quest’uf­fizio al mio caro Gesù, mi è scomparso ed io son ritornata in me stessa.

 

Aprile 25, 1900  (64)

La purità nell’operare è tanto grande che chi opera per il solo fine di piacermi non fa altro che mandare luce in tutto il suo operare.

Trovandomi fuori di me stessa, e non trovando il mio dolce Gesù, ho dovuto girare molto per andare in cerca di lui; alla fine l’ho trovato in braccio alla Regina Mamma, ma però neppure mi guardava. Chi può dire la pena del mio povero cuore nel vedere che Gesù non si curava di me!

Dopo ho guardato nel suo petto e teneva una piccola perla tanto risplendente che investiva l’umanità santissima di Nostro Signore, di luce. Onde volendo sapere il significato, ho domandato a Gesù che cosa fosse quella perla, che mentre pare così piccola spande tanta luce. E Gesù:

“La purità del tuo patire, che ancorché piccolo, [ep]pure perché soffri per solo amor mio ed ancora saresti pronta a soffrire altro se io te lo concedessi, ecco[41] la causa di tanta luce. Figlia mia, la purità nell’operare è tanto grande che chi opera per il solo fine di piacermi non fa altro che mandare luce in tutto il suo operare; chi non opera rettamente, anche il bene non fa altro che spandere tenebre”.

Quindi ho visto nel petto di Nostro Signore che teneva uno specchio tersissimo, e pareva che chi camminava rettamente restava tutta assorbita in quello specchio, chi no, restava fuori, senza che potessero ricevere nessuna impronta dell’immagine del benedetto Gesù. Ah, Signore, tenetemi tutta assorbita in questo specchio divino acciò nessun’altra ombra d’intenzione io abbia nel mio operare.

 

Aprile 27, 1900  (65)

Gesù a Luisa: “Il tuo refrigerio sono io, il mio refrigerio è il tuo patire”.

Questa mattina, avendo fatta la santa comunione, mi pareva che il confessore mettesse l’intenzione di farmi soffrire la crocifissione, e all’istante ho visto l’angelo custode che mi distendeva sulla croce per farmela soffrire.

Dopo ciò ho visto il mio dolce Gesù che tutta mi compativa, e mi ha detto: “Il tuo refrigerio sono io, il mio refrigerio è il tuo patire”. E mostrava un contento indicibile del mio patire, e del confessore che con l’ub­bidienza che mi aveva dato di soffrire gli aveva procurato quel sollievo. Poi ha soggiunto: “Siccome il sacramento dell’Eucaristia è frutto della croce, perciò mi sento più disposto a concederti il patire quando ricevi il mio corpo, perché vedendo te patire, mi pare che non misticamente, ma realmente continua in te la mia passione a pro delle anime, e questo è per me un grande sollievo, perché raccolgo il vero frutto della mia croce e dell’Eu­caristia”.

Dopo ciò ha detto: “Finora è stata l’ubbidienza che ti ha fatto soffrire; vuoi tu che [io] mi diverta un poco col rinnovarti di nuovo la crocifissione di propria mia mano?”

Ed io, sebbene mi sentivo molto sofferente ed ancor freschi i dolori della croce: “Rinnovatemi — ho detto — Signore, son nelle vostre mani, fate di me ciò che volete”.

Allora Gesù tutto contento ha incominciato a conficcarmi di nuovo i chiodi nelle mani e nei piedi; vi sentivo tale intensità di dolore che non so io stessa come sono rimasta viva, ma io però ero contenta perché con­tentavo Gesù. Onde, dopo che mi ha ribattuto i chiodi, mettendosi a me vicino a incominciato a dire: “Quanto sei bella! Ma quanto più cresce la tua bellezza nel tuo patire! Oh, come mi sei cara! I miei occhi restano feriti nel guardarti, ché scorgono in te la mia stessa immagine”.

E diceva tante altre cose, che sarebbe inutile il dirle, prima perché sono cattiva, secondo ché non vedendomi quale il Signore mi dice, mi sento una confusione ed un rossore nel dire queste cose; onde spero che il Signore mi farà veramente buona e bella, ed allora scemando il mio rossore potrò descrivere il tutto. Ma per ora faccio punto.

 

Maggio 1, 1900  (66)

Se l’Eucaristia è caparra della futura gloria, la croce è sborso per comprarla.

Avendo fatta la santa comunione, il mio dolce Gesù si è fatto vedere tutto affabilità, e siccome pareva che il confessore mettesse l’intenzione della crocifissione, la mia natura ne sentiva quasi una ripugnanza a sottomettersi. Il mio dolce Gesù per rincorarmi mi ha detto:

“Figlia mia, se l’Eucaristia è caparra della futura glo­ria, la croce è sborso come comprarla. Se l’Eucaristia è seme che impedisce la corruzione, ed è come quelle erbe aromatiche che ungendosi i cadaveri non ne restano corrotti, e dona l’immortalità all’anima e al corpo, la croce li abbellisce ed è tanto potente che se c’è contrazione di debiti essa se ne fa mallevadrice, con maggior sicurezza si fa restituire la scrittura del debito contratto, e dopo che ha soddisfatto ogni debito forma all’anima il trono più sfolgorante nella futura gloria. Ah, sì, la croce e l’Eucaristia si avvicendano insieme e una spera[42] più potentemente dell’altra”.

Poi ha soggiunto: “La croce è il mio letto fiorito, non perché non soffrivo atroci spasimi, ma perché per mezzo della croce partorivo tante anime alla grazia, vedevo spuntare tanti bei fiori che producevano tanti frutti celesti; quindi vedendo tanto bene, tenevo a mia delizia quel letto di dolore e mi dilettavo della croce e del patire. Anche tu, figlia mia, prendi come delizie le pene e dilettati di starti crocifissa nella mia croce. No, no, non voglio che tema il patire, quasi volessi operare da infingarda. Su, coraggio! Opera da valorosa e disponiti da te stessa al patire”.

Mentre così diceva, vedevo il mio buon angelo custode che stava preparato per crocifiggermi; ed io da me stessa ho disteso le braccia e l’angelo mi crocifiggeva. Godeva il buon Gesù del mio patire, e quanto ne ero contenta io, dacché potevo dar gusto a Gesù, [pur essendo] un’anima così miserabile. Mi pareva che fosse un grande onore per me il patire per amor suo.

 

Maggio 3, 1900  (67)

Nel beato soggiorno si stima la croce e chi più ha sofferto.

Questa mattina mi son trovata fuori di me stessa e vedevo tutto il cielo cosparso di croci: chi[43] piccole, chi grandi, chi mezzane; chi più grande più dava splendore. Era un incanto dolcissimo il vedere tante croci che abbellivano il firmamento, più risplendenti del sole. Dopo ciò pareva che si aprisse il cielo, e si vedeva e sentiva la festa che si faceva dai beati alla croce. Chi più aveva sofferto era più festeggiato in questo giorno. Si distinguevano in modo speciale i martiri e chi aveva sofferto di nascosto. Oh, in quel beato soggiorno si stimava la croce e chi più aveva sofferto.

Mentre ciò vedevo, una voce ha risuonato per tutto l’empireo, che diceva: “Se il Signore non mandasse le croci sopra la terra, sarebbe come quel padre che non ha amore per i propri figli, che invece di volerli vedere onorati e ricchi, li vuol vedere poveri e disonorati”.

Il resto che vidi di questa festa, non ho parole come esprimerlo; me lo sento in me ma non so metterlo fuori, perciò faccio silenzio.

 

Maggio 9, 1900  (68)

Dice Gesù: “Tu con lo starti inquieta hai turbato il mio dolce riposo”.

Dopo aver passati giorni di privazione, non solo, ma di turbazione ancora, questa mattina trovandomi più turbata sul misero mio stato, l’adorabile Gesù nel venire mi ha detto: “Tu con lo starti inquieta hai turbato il mio dolce riposo. Ah, sì, non mi fai più riposare”.

Chi può dire quanto son rimasta mortificata nel sentire d’aver tolto il riposo a Gesù Cristo! Con tutto ciò per qualche ora mi son quietata, ma dopo mi son trovata più inquieta di prima, che io stessa non so questa volta dove andrò a finire. Dopo quelle due parole che ha detto Gesù, mi son trovata fuori di me stessa, e guardando nella volta dei cieli vi scorgevo tre soli: uno pareva che si posasse all’oriente, l’altro all’occidente, il terzo a mezzogiorno. Era tanto lo splendore dei raggi che tramandavano, che si univano l’uno con l’altro in modo che formavano uno solo. Mi pareva di vedere il mistero della Santissima Trinità, e l’uomo formato con le tre potenze ad immagine di essa. Comprendevo pure che chi stava in quella luce, restava trasformata la memoria nel Padre, l’intelletto nel Figlio, la volontà nello Spirito Santo. Quante cose comprendevo! Ma non so manifestarlo.

 

Maggio 13, 1900  (69)

Dice Luisa: “Ah, Signore, porgetemi aiuto e non mi lasciate in abbandono, sebbene lo merito”.

Continua lo stesso stato e forse anche peggio, sebbene faccio quanto posso a starmi quieta senza turbarmi perché così vuole l’ubbidienza, ma con tutto ciò non lascio di sentirne il peso dell’abbandono che mi preme e giunge fino a schiacciarmi. O Dio, che stato è codesto? Ditemi almeno, dove vi ho offeso? Qual ne è la causa? Ah, Signore, se volete continuare in questo modo, credo che non potrò più aver resistenza!

Onde, quando appena si è fatto vedere mettendomi una mano sotto il mento in atto di compatirmi, e mi ha detto:

“Povera figlia, come ti sei ridotta!” E facendomi parte delle sue pene, come lampo è scomparso, lasciandomi più afflitta di prima come se non fosse venuto; anzi mi sento come se non fosse venuto da tanto tempo e vi provo tale afflizione, che vivo e il mio vivere è un continuo agonizzare. Ah, Signore, porgetemi aiuto e non mi lasciate in abbandono, sebbene lo merito.

 

Maggio 17, 1900  (70)

Luisa, insieme con un’altra anima vittima, impedisce in gran parte un flagello.

Continua lo stesso stato di privazione e di abbandono. Onde trovandomi fuori di me stessa, vedevo un’inon­dazione d’acqua mista con grandine e pareva che varie città ne restassero inondate con tale[44] danno. Mentre ciò vedevo mi trovavo in grande costernazione, perché volevo impedire quell’inondazione, ma siccome mi trovavo sola, molto più che non avevo meco Gesù, quindi le mie povere braccia me le sentivo deboli per poter ciò fare. Onde con mia sorpresa ho veduto venire (mi pareva che fosse dall’America) una vergine e, lei da un punto ed io dall’altro, ci siamo riuscite ad impedire in gran parte il flagello che ci minacciava.

Dopo ciò, essendoci riunite insieme, scorgevo quella vergine con le insegne della passione, coronata con corona di spine, come pure mi trovavo io; e una persona che mi pareva che fosse un angelo diceva: “Oh, potenza delle anime vittime! Ciò che non è dato a noi angeli di fare, con le loro sofferenze possono far loro. Oh, se gli uomini sapessero il bene [che viene] da loro, perché stanno per il bene pubblico e particolare, non farebbero altro che implorare da Dio che si moltiplicasse[ro] queste anime sulla terra!”

Dopo ciò, avendoci detto[45] che ci raccomandassimo a vicenda al Signore, ci siamo separate.

 

Maggio 18, 1900  (71)

“Cerca di riempire il tuo interno di me e d’impre­gnarlo di tutte le virtù fino a traboccarne fuori”.

Trovandomi ancor priva dell’adorabile Gesù mio, al più [vedevo] qualche ombra. Oh, quanto mi costa amaro! Quante lacrime mi conviene versare! Questa mattina, dopo aver aspettato e ricercato, l’ho trovato accanto a me tutto afflitto con la corona di spine che gli trafiggeva la testa; gliel’ho tolta pian piano e l’ho messa sulla mia. Oh, quanto mi vedevo cattiva innanzi alla sua presenza! Non avevo forza di dire una sola parola.

Gesù avendo di me compassione mi ha detto: “Fatti cuore, non temere, cerca di riempire il tuo interno di me e d’impregnarlo di tutte le virtù fino a traboccarne fuori, e quando giungerai a farne il trabocco, allora ti porterò nel cielo e finiranno tutte le tue privazioni”.

Dopo ciò, prendendo un’aria afflitta ha soggiunto: “Figlia mia, prega, perché stanno preparati tre distinti giorni, l’uno lontano dall’altro, di tempeste, grandine e fulmini, inondazioni che faranno gran danno agli uomini ed alle piante”.

Detto ciò è scomparso lasciandomi un po’ più sollevata nello stato in cui mi trovo, ma con un pensiero: “Chi sa quando farò questo trabocco fuori? E se non lo faccio mai, mi converrà forse starmene sempre lontana da lui”.

 

Maggio 20, 1900  (72)

Per potersi riposare in Dio è necessario il silenzio interno.

Trovandomi fuori di me stessa, mi pareva che fosse notte e vedevo tutto l’universo, tutto l’ordine della natura, il cielo stellato, il silenzio notturno; insomma mi pareva che tutto avesse un significato. Mentre ciò vedevo, mi pareva vedere Nostro Signore che prendendo la parola su ciò che vedevo ha detto:

“Tutta la natura invita ad un riposo, ma qual è il vero riposo? È il riposo interno, il silenzio di tutto ciò che non è Dio. Vedi le stelle scintillanti di luce temperata, non abbagliante come il sole, il sonno, il silenzio di tutta la natura, degli uomini e fin degli animali, che tutti cercano un luogo, una tana dove starsene in silenzio e riposarsi dalla stanchezza della vita. Se ciò è necessario per il corpo, molto più per l’anima. È necessario riposarsi nel suo proprio centro che è Dio. Ma per potersi riposare in Dio è necessario il silenzio interno, come al corpo è necessario il silenzio esteriore per potersi placidamente addormentare. Ma qual è questo silenzio interiore? È di far zittire le proprie passioni col tenerle a posto, di imporre silenzio ai desideri, alle inclinazioni, agli affetti, insomma, a tutto ciò che non chiama Dio.

Or qual è il mezzo per giungere l’uomo a ciò? L’unico mezzo ed assolutamente necessario è di disfare il proprio essere secondo la natura, ridurlo al nulla come un nulla era prima che fosse creato; e quando avrà ridotto al nulla il suo essere, riprenderlo in Dio. Figlia mia, tutte le cose dal nulla hanno principio. Questa stessa macchina dell’universo che tu rimiri con tanto ordine, se prima di crearla fosse stata ripiena d’altre cose, non avrei potuto mettere la mia mano creatrice per farla con tanta maestria e renderla tanto splendida ed ornata; al più avrei potuto disfare tutto ciò che ci poteva essere, e poi rifarla come a me piaceva. Ma siamo sempre lì, che tutte le mie opere dal nulla hanno principio, e quando c’è mischianza di altre cose non è decoroso della mia Maestà scendere ed operare nell’anima; ma quando l’anima si riduce al nulla e risale a me e prende il suo essere nel mio, allora io vi opero da quel Dio che sono, e l’anima vi trova il vero riposo. Eccoti che tutte le virtù dal­l’umiltà e dall’annientamento di sé stesso hanno principio”.

Chi può dire quanto comprendevo su ciò che mi diceva il benedetto Gesù? Oh, come felice sarebbe l’ani­ma mia se potessi giungere a disfare il mio povero essere per poter ricevere dal mio Dio il suo Essere Divino! Oh, come mi nobiliterei, come resterei santificata! Ma quale sciocchezza è la mia? dove mi abbia[46] il cervello se ancor non lo faccio? Che miseria umana che, invece di cercare il suo vero bene e di prendere il suo volo in alto, si contenta di arrampicarsi per terra e di vivere nel fango e nel marciume!

Dopo ciò il mio diletto Gesù mi [ha] trasportata dentro un giardino, dove era molta gente che si preparava ad assistere ad una festa, ma solo quelli che ricevevano una divisa vi potevano assistere, ed erano pochi quelli che ricevevano questa divisa. Venne a me gran voglia di riceverla, e tanto ho fatto che ho ottenuto l’intento. Onde giunta al punto dove si riceveva, una matrona veneranda, prima mi ha vestita di bianco, poi mi ha messo una tracolla celeste da cui pendeva una medaglia improntata del volto di Gesù, e che mentre era volto, era insieme specchio, che rimirandolo si scorgeva[no] le più piccole macchie, che l’anima con l’aiuto di una luce che veniva da dentro quel volto facilmente si poteva togliere. Mi pareva che quella medaglia racchiudesse un senso misterioso. Dopo ha preso un manto d’oro finissimo e tutta mi ha coperta. Mi pareva che così tutta vestita potessi gareggiare con le vergini comprensorie[47]. Mentre ciò succedeva, Gesù mi ha detto: “Figlia mia, ritorniamo a vedere ciò che fanno gli uomini; basta che sei[48] vestita, [e] quando sarà la festa allora ti porterò ad assistere”.

Così, dopo aver girato un poco, mi ha trasportato al mio posto.

 

Maggio 21, 1900  (73)

L’anima deve tutto in sé spiritualizzare e giungere a rendersi come se fosse un puro spirito.

Questa mattina il mio adorabile Gesù non veniva; onde dopo molto aspettare è venuto, e carezzandomi mi ha detto: “Figlia mia, sai tu qual è la mia mira su di te e lo stato che voglio da te?”

E soffermandosi un poco ha soggiunto: “La mira che ho [su] di te non è di cose prodigiose e di tante cose che potrei operare su di te per mostrare l’opera mia, ma la mia mira è di assorbirti nella mia Volontà e di farne una sola [con la tua] e di lasciare di te un esemplare perfetto di uniformità del tuo col mio Volere. Ma ciò è lo stato più sublime, è il prodigio più grande, è il miracolo dei miracoli che di te intendo fare. Figlia mia, per giungere perfettamente a fare uno il nostro Volere, l’anima deve rendersi invisibile, deve imitare me, che mentre riempio il mondo col tenerlo assorbito in me e col non restare assorbito in esso, mi rendo invisibile, ché da nessuno mi lascio vedere.

Ciò significa che non c’è nessuna materia in me, ma tutto è purissimo Spirito; e se nella mia umanità assunta presi la materia, fu per rassomigliarmi in tutto all’uomo e dargli un esemplare perfettissimo [di] come spiritualizzare questa stessa materia. Onde l’anima deve tutto in sé spiritualizzare e giungere a rendersi come se fosse un puro spirito, e la materia in lei più non esistesse, quasi fosse sparita e resa invisibile per poter formare facilmente una la tua con la mia Volontà, perché ciò che è invisibile può essere assorbito in un altro oggetto. Di due oggetti, dei quali si vuol formare uno solo, è necessario che uno perda la propria forma, altrimenti mai si giungerebbe a formare un solo essere. Quale fortuna sarebbe la tua se, distruggendo te stessa fino a renderti invisibile, potessi ricevere una forma tutta divina! Anzi tu, col restare assorbita in me ed io in te formando un solo essere, verresti a ritenere in te la fonte divina; e siccome la mia Volontà contiene ogni bene che ci può mai essere, verresti a ritenere tutti i beni, tutti i doni, tutte le grazie, e non avresti a cercarli altrove, ma in te stessa.

E se le virtù non hanno confine, stando nella mia Volontà, secondo che[49] la creatura può giungere troverà il suo[50] termine, perché la mia Volontà fa giungere ad acquistare le virtù più eroiche e più sublimi, che la creatura non può sorpassare. È tanta l’altezza della perfezione dell’anima disfatta nel mio Volere, che giunge ad operare come Dio; e questo non è meraviglia, perché siccome non vive più la sua volontà in essa, ma la Volontà di Dio medesimo, cessa ogni stupore se vivendo con questa Volontà possiede la potenza, la sapienza, la san­tità e tutte le altre virtù che contiene lo stesso Dio. Basta dirti, per fare che tu t’innamori e cooperi quanto puoi da parte tua per giungere a tanto, che l’anima che giunge a vivere del solo mio Volere è regina di tutte le regine ed il suo trono è tanto alto che giunge fino al trono del­l’Eterno; ed entra nei segreti dell’Augustissima Triade e partecipa all’amore reciproco del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Oh, come tutti gli angeli ed i santi la onorano, gli uomini l’ammirano ed i demoni la temono scorgendo in lei l’Essere Divino!”

Ah, Signore, quando mi farete giungere a questo? Perché da me niente posso.

Or chi può dire ciò che il Signore infondeva in me con luce intellettuale su questa uniformità di voleri! È tanta l’altezza dei concetti, che la mia lingua non bene [in]dirizzata non ha parole come esprimerlo. Appena ho potuto dire questo poco, sebbene spropositando, di ciò che il Signore con luce vivissima mi fece comprendere.

 

Maggio 24, 1900  (74)

“Diletta mia, portami dei fiori e circondami tutto, che mi sento languire d’amore”.

Trovandomi molto afflitta per la privazione del mio adorabile Gesù, al più si faceva vedere ad ombra ed a lampo, sento proprio che non posso tirare più innanzi se lui vuole continuare più oltre. Onde trovandomi nel som­mo dell’afflizione, per un poco si è fatto vedere tutto stanco, come se avesse bisogno di un ristoro, e menando le sue braccia al mio collo mi ha detto:

“Diletta mia, portami dei fiori e circondami tutto, che mi sento languire d’amore. Figlia mia, l’odoroso profumo dei tuoi fiori mi sarà di ristoro e vi porrà un rimedio ai miei mali, che[51] languisco e vengo meno”.

Ed io subito ho soggiunto: “E voi, diletto mio Gesù, datemi dei frutti, che l’ozio e lo scarso patire aumentano talmente il mio languire, che vengo meno fino a sentirmi morire. Ed allora non solo dei fiori, ma potrò darvi dei frutti per poter maggiormente ristorare il vostro languire”.

E Gesù ha ripreso il suo dire e mi ha detto: “Oh, come ci combiniamo bene! Non è vero? Pare che il tuo volere è uno col mio”.

Per un momento pare che sono rimasta sollevata, come se volesse cessare lo stato in cui mi trovavo; ma dopo poco mi son trovata immersa nello stesso letargo di prima, priva del mio sommo Bene, abbandonata e sola.

 

Maggio 27, 1900  (75)

Il tuo stato è in excelsis per l’unione dei nostri Voleri.

Questa mattina, sentendomi più che mai afflitta per la privazione del mio sommo Bene, quando appena mi si è fatto vedere e mi ha detto:

“Come un vento impetuoso investe le persone e penetra fin nelle viscere in modo da scuotere tutta la persona, così il mio amore e la mia grazia, impennandosi sulle ali dei venti, investe e penetra nel cuore, nella mente e nelle più intime parti dell’uomo. Con tutto ciò, l’uomo ingrato respinge la mia grazia e mi offende. Qual non è il mio acerbo dolore!”

Io però me ne stavo tutta confusa ed annientata in me stessa e non ardivo di dire una parola. Solo pensavo: “Come è che non viene? Ed anche a venire[52], non lo veggo chiaro; pare che ho perduto la chiarezza. Chi sa se lo vedrò svelato il suo bel volto come prima?” Mentre così pensavo, il mio benigno Gesù ha soggiunto: “Figlia mia, perché temi se il tuo stato è in excelsis per l’unione dei nostri voleri?”

E volendomi rincorare e compatire lo stato mio doloroso, mi ha detto: “Tu sei il mio novello Giobbe. Non ti opprimere [in modo] soverchio se non mi vedi con chiarezza. Te lo dissi fin dall’altro giorno che non ci vengo secondo il solito, ché voglio castigare le genti; e se tu mi vedessi con chiarezza verresti a comprendere con chiarezza ciò che io sto facendo, ed il tuo cuore siccome ha ricevuto l’innesto del mio, quindi conosco io quello che tu verresti a soffrire, come sta soffrendo il mio cuore ché mi veggo costretto a castigare le mie creature. Anche per risparmiarti queste pene non mi faccio vedere con chiarezza”.

Chi può dire la trafittura che ha lasciato al mio povero cuore! Ah, Signore, datemi la forza a sostenere il dolore!

 

Maggio 29, 1900  (76)

Gesù piange, ma nessuno ha compassione di lui.

Continuando a stare nello stesso stato, mi sentivo tutta oppressa ed avevo tutta la necessità di un sostegno per poter sopportare la privazione del mio sommo Bene. Il benedetto Gesù, avendo di me compassione, per qualche minuto ha mostrato il suo volto da dentro il mio cuore, però non con chiarezza, e facendo sentire la sua soavissima voce mi ha detto: “Coraggio, figlia mia, un altro poco lasciami finire di castigare, che dopo ci verrò come prima”.

Mentre così diceva, nella mia mente gli ho domandato: “Quali sono i castighi che hai incominciato a mandare?”

E lui ha soggiunto: “La pioggia continuata è più che grandine [per ciò] che sta facendo, e vi porterà delle tristi conseguenze sopra le genti”.

Detto ciò è scomparso, ed io mi son trovata fuori di me stessa, dentro un giardino, e da lì dentro vi vedevo i raccolti disseccati nelle vigne; e dentro di me andavo dicendo: “Povere genti, povere genti, come faranno?”

Mentre così dicevo, dentro quel giardino vi era un ragazzino che piangeva e gridava tanto forte che assordava cielo e terra, ma nessuno aveva di lui compassione, sebbene lo sentivano tutti che così piangeva, tanto che non si brigavano di lui e lo lasciavano abbandonato a solo. Un pensiero mi è balenato: “Chi sa che non fosse Gesù?” Ma non ne son rimasta certa. Onde avvicinandomi a lui ho detto: “Che hai che piangi, bambino caro? Vuoi venire insieme con me, giacché tutti ti hanno lasciato in preda alle lacrime ed al dolore che tanto ti opprime, che ti fa gridare così forte?”

Ma che! Chi poteva quietarlo? Appena con singulti ha risposto che sì, se ne voleva venire. Onde l’ho preso per mano per condurlo insieme con me, e nell’atto stesso di ciò fare mi son trovata in me stessa.

 

Giugno 2, 1900  (77)

Uno spirito umile e dolce sa rispettare tutti ed inter­preta sempre bene i fatti altrui.

Trovandomi nello stesso stato, questa mattina per qualche poco[53] ho visto il mio adorabile Gesù che se ne stava dentro il mio cuore che dormiva; ed il suo sonno attirava l’anima mia ad assonnarmi insieme con lui, tanto che mi sentivo tutte le interiori potenze tutte addormentate, senza più agire. Delle volte mi sforzavo di uscire da quel sonno, ma non potevo; quando per poco si è destato il benedetto Gesù ed ha mandato tre volte il suo alito dentro di me, e mi pareva che lui restasse tutto assorbito in me. Dopo mi pareva che Gesù se li attirasse un’altra volta dentro di sé, quei tre aliti che mi aveva mandato, ed io mi son trovata tutta trasformata in lui. Chi può dire ciò che succedeva in me, da questi tre soffi divini? Oh, l’unione inseparabile tra me e Gesù, non ho parole da esprimerlo!

Dopo ciò mi pare che mi son potuta destare, e Gesù rompendo il silenzio mi ha detto: “Figlia mia, ho guardato e riguardato, ho cercato e ricercato scorrendo per tutta la terra, ma in te ho fissato i miei sguardi ed ho trovato le mie compiacenze, e ti ho eletta tra mille”.

Poi volgendosi a certe persone che vedeva, li ha ripresi col dir loro: “La mancanza di stima della persona altrui è mancanza di vera umiltà cristiana e di dolcezza, perché uno spirito umile e dolce sa rispettare tutti ed interpreta sempre bene i fatti altrui”.

Detto ciò è scomparso senza che io avessi potuto dirgli una parola. Sia sempre benedetto che così vuole, e sia tutto per sua gloria.

 

Giugno 3, 1900  (78)

Luisa: “Signore, scaricate sopra di me la giustizia, ed il vostro amore non sarà più violentato dalla giustizia”.

Siccome continuava il mio adorabile Gesù a non farsi vedere con chiarezza, questa mattina, avendo fatta la santa comunione, il confessore ha messo l’intenzione della crocifissione. Mentre mi trovavo in quelle sofferenze, il benedetto Gesù quasi tirato dalle mie pene si è mostrato con chiarezza. Oh, Dio, e chi può dire le sofferenze che pativa Gesù e lo stato violento in cui si trovava mentre era costretto a mandare i castighi! Faceva tale violenza che non voleva mandarli! Faceva tale compassione vederlo in questo stato, che se gli uomini lo potessero vedere, ancorché i loro cuori fossero di diamante, si spezzerebbero per tenerezza come fragil vetro. Onde ho incominciato a pregarlo che si placasse e che si contentasse di farmi soffrire a me e risparmiasse il popolo.

Poi ho soggiunto: “Signore, se non volete dare ascolto alle mie preghiere, [ri]conosco che lo merito. Se non volete avere compassione dei popoli, ne avete ragione, perché grandi sono le nostre iniquità; ma vi chieggo in grazia che abbiate pietà della violenza che vi fate nel punire le vostre immagini. Ah! Sì, ve lo chieggo per amor di voi stesso, che non mandiate castighi fino a togliere il pane ai vostri figli e farli perire. Oh, no, non è della natura del vostro cuore operare in questo modo! Ecco perciò la violenza che provate, che se avesse potere vi darebbe la morte”.

E lui tutto afflitto mi ha detto: “Figlia mia, è la giustizia che mi fa violenza, e l’amore che ho verso gli uomini mi usa violenza più forte, da mettere il mio cuore in angoscia di morte nel punire le creature”.

Ed io: “Perciò, Signore, scaricate sopra di me la giustizia, ed il vostro amore non sarà più violentato dalla giustizia e non si troverà in contrasti di castigare le genti, che davvero come faranno se voi fate, come mi fate comprendere, disseccare tutto ciò che serve all’ali­mento dell’uomo? Deh! Vi prego, lasciatemi soffrire a me e risparmiate loro, se non in tutto, almeno in parte”.

E Gesù, come se si vedesse costretto dalle mie preghiere, si è avvicinato alla mia bocca ed ha versato dalla sua un poco d’amarezza densa e stomachevole, che appena trangugiata mi ha prodotto tali e tante specie di pene che mi sentivo morire. Allora il benedetto Gesù, sostenendomi in quelle pene, altrimenti sarei rimasta vittima (eppure non era stato altro che un poco che aveva versato; che sarà del suo cuore adorabile che tanto ne conteneva?), ha mandato un sospiro come se si fosse sollevato da un peso, e mi ha detto: “Figlia mia, la mia giustizia aveva deciso di distruggere tutto, ma ora sgravandosi un poco sopra di te, per amor tuo concede un terzo di ciò che serve all’alimento dell’uomo”.

Ed io: “Ah, Signore, è troppo poco, almeno metà!”

E lui: “No, figlia mia, contentati”.

Ed io: “No, Signore; almeno se non volete contentarmi per tutti, contentatemi per Corato e per quelli che mi appartengono”.

E Gesù: “Oggi sta preparata una grandine che deve fare gran danno. Tu stai coi dolori della croce; esci fuori di te stessa in forma di crocifissa, va’ nell’aria e metti in fugga i demoni da sopra Corato, che alla forma crocifissa non potranno resistere ed andranno altrove”.

Così sono uscita fuori di me stessa, crocifissa, ed ho visto la grandine ed i fulmini che stavano per scoppiare sopra Corato. Chi può dire lo spavento dei demoni, come se la davano a gambe alla vista della mia forma crocifissa, come si morsicavano le dita per rabbia! E giungevano a prendersela contro il confessore, che questa mattina mi aveva dato l’ubbidienza di soffrire la crocifissione, giacché con me non se la potevano prendere, anzi erano costretti a fuggire da me per il segno della redenzione che vi scorgevano. Onde dopo di averli messi in fuga, mi sono ritirata in me stessa trovandomi con una buona dose di patimenti. Sia tutto per la gloria di Dio.

 

Giugno 7, 1900  (79)

La stessa giustizia è amore purissimo verso gli uomini.

Siccome mi trovavo in qualche modo sofferente, mi pareva che quelle sofferenze erano una dolce catena che tirava il mio buon Gesù a farlo venire quasi [di] continuo, e mi pareva che quelle pene chiamavano Gesù a fargli versare altre amarezze. Onde nel venire, or mi sosteneva nelle sue braccia per darmi forza ed ora versava di nuovo. Io però di tanto in tanto gli dicevo: “Signore, adesso sento in me parte delle vostre pene, vi prego di contentarmi, come vi dissi ieri, di darmi almeno la metà di ciò che serve ad alimentare l’uomo”.

E lui: “Figlia mia, per contentarti ti consegno le chiavi della giustizia e la conoscenza di quanto è necessario assolutamente punire l’uomo, e con ciò farai quello che ti piace. Non ne sei contenta?”

Nel sentire dirmi ciò mi consolai, e dicevo nel mio interno: “Se starà a me, non castigherò affatto nessuno”. Ma quanto restai disingannata quando il benedetto Gesù mi diede una chiave e mi mise in mezzo ad una luce, ché guardando da mezzo a quella luce scorgevo tutti gli attributi di Dio, come pure quello della giustizia! Oh, come è tutto ordinato in Dio! E se la giustizia punisce, è ordine; e se non punisse non starebbe in ordine cogli altri attributi. Onde mi vedevo misero verme in mezzo a quella luce, che se volessi impedire il corso alla giustizia, guasterei l’ordine ed andrei contro gli uomini stessi, perché comprendevo che la stessa giustizia è amore purissimo verso di loro.

Onde mi son trovata tutta confusa ed imbarazzata, perciò per sbarazzarmi ho detto a Nostro Signore: “Con questa luce di cui mi avete circondato, capisco le cose diversamente, e se lasciaste fare a me farei peggio che voi, perciò non accetto questa conoscenza e vi ringrazio [per] le chiavi della giustizia. Quello che accetto e voglio è che facciate soffrire me e che risparmiate le genti; del resto non voglio sapere niente”.

E Gesù, sorridente al mio dire, mi ha detto: “Come, subito vuoi sbarazzarti non volendo conoscere nessuna ragione? e volendomi fare più forte violenza te ne vuoi uscire con due parole: ‘Fate soffrire a me e risparmiate loro’?”

Ed io: “Signore, non è che non voglio sapere ragione, ma perché non è ufficio mio ma vostro; il mio ufficio è quello di essere vittima. Perciò voi fate il vostro ufficio ed io faccio il mio. Non è vero mio caro Gesù?”

E lui mostrando come un’approvazione mi è scomparso.

 

Giugno 10, 1900  (80)

Il cuore di Gesù è torturato nel castigare le creature.

Mi pare che il mio adorabile Gesù continua a dimezzare la giustizia col versare un poco su di me ed il resto sopra le genti. Questa mattina specialmente, quando mi son trovata con Gesù, mi si strappava l’anima nel vedere la tortura del suo dolcissimo cuore nel castigare le creature. Era tanto lo stato sofferente in cui si trovava Gesù, che non faceva altro che mandare continui gemiti. Teneva in testa una folta corona di spine, tutta incarnata dentro, tanto che la testa pareva un pezzo di spine. Onde per sollevarlo un poco gli ho detto: “Dimmi mio Bene, che hai che sei tanto sofferente? Permettete che vi tolga queste spine, che vi tormentano non poco!”

Ma Gesù non mi rispondeva, anzi neppure ascoltava ciò che io dicevo. Quindi mi son messa a togliere quelle spine ad una ad una, e dopo quella corona l’ho messa nella mia testa. Or mentre ciò facevo, ho visto che a parte lontane[54] doveva fare un terremoto che avrebbe fatto strage di gente. Dopo, Gesù è scomparso ed io son ritornata in me stessa, ma con somma mia afflizione nel pensare allo stato sofferente di Gesù ed alle sciagure della misera umanità.

 

Giugno 12, 1900  (81)

Dice Gesù: “Non voglio mandare flagelli, ma è la giustizia che mi costringe”.

Questa mattina, nel venire il mio amabile Gesù, ho incominciato a dire: “Signore, che fate? Pare che vi inoltriate troppo con la giustizia”. Mentre volevo continuare a dire per scusare le miserie umane, Gesù mi ha imposto silenzio col dirmi: “Taci, se vuoi che mi trattenga con te, vieni a baciarmi e a salutarmi, con le tue solite adorazioni, tutte le mie membra sofferenti”.

Così ho incominciato dalla testa e poi man mano per tutte le altre membra. Oh, quante piaghe profonde conteneva quel corpo sacrosanto che al solo guardarlo metteva raccapriccio! Onde, non appena ho finito è scomparso, lasciandomi con scarsissimo patire e con un timore: chi sa come si verserà sopra le genti, che non si è benignato di versare sopra di me le sue amarezze!

Dopo poco è venuto il confessore e gli ho detto ciò che dissi di sopra e lui mi ha risposto: “Oggi per ubbidienza assoluta, quando fai la meditazione devi pregarlo che ti faccia soffrire la crocifissione e che cessi di mandare i flagelli”.

Così quando ho fatta la meditazione l’ho pregato secondo l’ubbidienza ricevuta. Quando appena, si faceva vedere, ma senza darmi retta, anzi, or si faceva vedere che volgeva le spalle alle genti, or che dormiva per non essere da me importunato, e che so io; mi sentivo crepare che non si curava di farmi fare l’ubbidienza, onde ho preso coraggio, e mettendo tutta la fiducia nella santa ubbidienza l’ho preso per braccio per risvegliarlo e gli ho detto: “Signore, che fate, questo è l’amore che portate alla vostra virtù tanto prediletta dell’ubbidienza? Que­sti sono gli elogi che tante volte le avete dati? Questi sono gli onori che avete prodigati, fino a dire che vi sentite scosso e non potete resistere alla virtù dell’ubbi­dienza e vi sentite soggiogare dall’anima che si dona a questa virtù, che adesso pare che non vi curate di farmi ubbidire?”

Mentre ciò dicevo ed altre cose che andrei troppo per le lunghe se volessi scriverle, il benedetto Gesù si è scosso, e come colpito da vivissimo dolore ha dato in dirottissimo pianto, e singhiozzando ha detto:

“Anch’io non voglio mandare flagelli, ma è la giustizia che mi costringe, e quasi per forza; ma tu con questo parlare vuoi pungermi al vivo, è toccarmi un tasto per me troppo delicato e da me molto amato, tanto che non volli altro onore né altro titolo che quello di ubbidiente. Ed ecco, per farti vedere che non è che non mi curo di farti ubbidire, con tutto ciò che[55] la giustizia mi costringe a non farlo, ti partecipo in parte i dolori della croce”.

Mentre ciò diceva è scomparso, lasciandomi contenta che mi ha fatto ubbidire, e con un dispiacere nell’ani­ma, come se fossi stata causa di far piangere il Signore col mio parlare. Ah, Signore, vi prego a perdonarmi!

 

Giugno 14, 1900  (82)

La croce assorbe nell’anima la Divinità e la rassomiglia all’umanità di Gesù.

Trovandomi non poco sofferente, il mio adorabile Gesù, nel venire, tutta mia compativa e mi ha detto: “Figlia mia, che hai che soffri tanto? Lasciami sollevarti un poco”.

Ma Gesù era più sofferente di me. Così ha baciato l’anima mia; siccome era crocifisso mi ha tirato fuori di me stessa ed ha messo le mie mani nelle sue, i miei piedi nei suoi, la mia testa poggiava sulla sua e la sua sopra la mia. Come ero contenta nel trovarmi in questa posizione! Sebbene i chiodi e le spine di Gesù mi davano dolori, pure erano dolori che mi davano gioia perché sofferti per l’amato mio Bene, anzi avrei voluto che più crescessero.

Anche Gesù pareva contento di me, che mi teneva in quel modo attirata a sé. Mi pareva che Gesù ristorava me ed io fossi di ristoro a lui. Onde in questa posizione siamo usciti fuori, ed avendo trovato il confessore, subito l’ho pregato per i bisogni di lui e ho detto al Signore che si benignasse di fare sentire quanto è dolce e soave la sua voce, al confessore.

Gesù per contentarmi si è rivolto a lui ed ha parlato della croce col dire: “La croce assorbe nell’anima la mia Divinità, la rassomiglia alla mia umanità, e ricopia in sé stessa[56] le mie stesse opere”.

Dopo abbiamo continuato a girare un altro poco, ed oh! Quante viste dolorose, che trafiggevano l’anima parte a parte: le gravi iniquità degli uomini che neppure si abbassano a fronte nella[57] giustizia, anzi si scagliano con maggiore furore, quasi che volessero rendere ferite per doppie ferite[58]; e la grande miseria che loro stessi si stanno preparando. Onde con nostro sommo rammarico ci siamo ritirati. Gesù è scomparso ed io mi sono ritirata in me stessa.

 

Giugno 17, 1900  (83)

Contenersi in Dio e non uscire dai confini della pace è tutto lo stesso.

Siccome questa mattina il benedetto Gesù non ci veniva, nel mio interno mi sentivo suscitare qualche om­bra di turbazione sul perché non ci veniva; onde nel venire mi ha detto:

“Figlia mia, contenersi in Dio e non uscire dai confini della pace è tutto lo stesso; sicché se tu avverti un poco di turbazione è segno che fai un poco di uscita da dentro Dio. Perché contenersi in lui e non aver perfetta pace è impossibile, molto più che i confini della pace sono interminabili, anzi tutto ciò che a Dio appartiene, tutto è pace”.

Dopo ha soggiunto: “Non sai tu che le privazioni dell’anima servono come l’inverno alle piante, che mettono più profonde le radici, le fortifica, e le fa rinverdire e fiorire a maggio?”

Dopo ciò mi ha trasportata fuori di me stessa, ed avendogli raccomandato vari bisogni, è scomparso ed io mi sono trovata in me stessa, con un gran desiderio di tenermi sempre dentro Dio, acciocché mi potessi trovare nei confini della pace.

 

Giugno 18, 1900  (84)

Il cielo con tutto il creato addita l’amor di Dio, il corpo piagato di Gesù addita l’amore del prossimo.

Seguitando [Gesù] a non venire, ho cercato di applicarmi a considerare il mistero della flagellazione. Mentre ciò facevo, quando appena, ho visto il benedetto Gesù tutto piagato e grondante sangue, e mi ha detto:

“Figlia mia, il cielo con tutto il creato ti addita l’a­mor di Dio, il mio corpo piagato ti addita l’amor del prossimo; tanto che[59] la mia umanità è unita alla mia Divinità, [che] di due nature ne feci una sola Persona e così in me le due nature resi inseparabili, per cui non solo soddisfeci alla divina giustizia, ma operai la salvezza degli uomini. E per fare che tutti assumessero questo obbligo d’amare Dio ed il prossimo, non solo ne feci un solo, ma giunsi a farne un precetto divino. Sicché le mie piaghe ed il mio sangue sono tante lingue che insegnano ad ognuno il modo d’amarsi e l’obbligo che tutti hanno di badare alla salvezza altrui”.

Dopo, prendendo un aspetto più afflitto, ha soggiunto: “Che tiranno spietato è per me l’amore, che non solo impiegai tutto il corso della mia vita mortale in continui sacrifizi, fino a morire svenato sopra una croce, ma mi lasciai vittima perenne nel sacramento dell’Eucaristia; e questo non solo, ma tutte le mie membra predilette le tengo vittime viventi in continue sofferenze, impiegate per la salvezza degli uomini; come fra tanti ho eletto te per tenerti sacrificata per amor mio e per gli uomini. Ah, sì, il mio cuore non trova requie né riposo se non trova l’uomo! E l’uomo, come corrisponde? Con ingratitudini enormissime!”

Detto ciò è scomparso.

 

Giugno 20, 1900  (85)

L’umiltà più sublime è quella di perdere ogni ragione e di non discorrere sul perché e sul come.

Questa mattina, trovandomi fuori di me stessa e non trovando il mio sommo Bene, ho dovuto girare e rigirare in cerca di lui. Quando mi sono stancata [fino] a sentirmi venir meno, me lo son sentito dietro le spalle, che mi sorreggeva. Onde ho distesa la mano e l’ho tirato innanzi dicendogli: “Diletto mio, sai che non posso stare senza di te! Eppure mi fai tanto aspettare fino a venir meno. Dimmi almeno qual ne è la causa? Dove ti ho offeso, che mi sottoponi a strazi così crudeli e a martìri così dolorosi qual è la tua privazione?”

E Gesù interrompendo il mio dire mi ha detto: “Figlia mia, figlia mia, non accrescere più lo strazio al mio cuore esacerbato al sommo, trovandosi in continua lotta per le violenze che continuamente tutti mi fanno: violenza mi fanno le iniquità degli uomini, che attirando su di loro la giustizia mi sforzano a castigarli; e la giustizia cozzandosi in continua lotta con l’amore che ho verso gli uomini, mi straziano il cuore in modo sì doloroso da farmi morire continuamente. Violenza mi fai tu, che venendo io e conoscendo tu i castighi che sto facendo, non te ne stai quieta, no, ma mi sforzi, mi fai violenza, e non vuoi che castighi; e conoscendo io che tu non puoi fare diversamente alla mia presenza, per non esporre il cuore ad una lotta più fiera mi astengo dal venire. Perciò non volermi violentare a farmi venire per ora, lasciami sfogare il mio furore e non volere accrescere le mie pene col tuo parlare.

Del resto non voglio che ci pensi, perché l’umiltà più sublime è quella di perdere ogni ragione e di non discorrere sul perché e come, ma di disfarsi nel proprio nulla; e mentre sta ciò facendo, senza avvedersi si trova dispersa in Dio, e ciò produce nell’anima l’unione più intima, l’amore più perfetto verso il sommo Bene; però con sommo vantaggio dell’anima, perché perdendo la propria ragione acquista la ragione divina; e perdendo ogni discorso sul conto proprio, cioè se fredda o calda, se favorevoli o avverse le cose che le succedono, non se ne interesserà ed acquisterà un linguaggio tutto celeste e divino. Oltre di ciò l’umiltà produce nell’anima una veste di sicurezza, onde involta in questa veste di sicurezza, l’anima se ne sta nella calma più profonda, tutta abbellendosi per piacere al suo diletto e amato Gesù”.

Chi può dire quanto sono rimasta sorpresa da questo suo parlare? Non ho avuto una parola per rispondergli; dopo è scomparso ed io mi sono trovata in me stessa, quieta sì, ma al sommo afflitta, prima per le afflizioni e le lotte in cui si trovava il mio caro Gesù e poi per timore che ancor non ci venisse. Chi potrà resistere? Come farò a sopportare me stessa per la sua assenza? Ah, Signore, datemi la forza per sopportare sì duro martirio, è tanto insopportabile alla mia povera anima! Del resto, dite quel che volete, che da me non lascerò nessun mezzo, tenterò tutte le vie, userò tutti gli stratagemmi come tirarvi a venire.

 

Giugno 24, 1900  (86)

La sola croce è l’alimento dell’umiltà.

Dopo aver passato qualche giorno di privazione, al più si è fatto vedere ad ombra ed a lampo, però tutte le mie potenze me le sentivo tutte addormentate, in modo che io stessa non capivo ciò che succedeva nel mio interno. In questo assonnamento, una sola pena si destava nel mio interno ed era che mi pareva di essermi accaduto come a colui che mentre dorme perde la vista ovvero viene spogliato di tutte le sue ricchezze; onde il misero non può dolersi né difendersi né usare qualche mezzo per liberarsi dai suoi infortuni. Poveretto, in che stato compassionevole si trova! Ma quale la causa? Il sonno, perché se fosse desto si saprebbe certo ben difendere dalle sue sventure. Tale è il mio misero stato; non mi vien dato neppure di mandare un gemito, un sospiro, di versare una lacrima, perché ho perduto di vista colui che è tutto il mio amore [60], tutto il mio bene e che forma tutto il mio contento. Parmi che per non farmi dolere della sua privazione mi ha assonnata e mi ha lasciata. Ah, Signore, destatemi voi, acciocché possa vedere le mie miserie e conoscere almeno di chi sono priva!

Ora mentre mi trovavo in questo stato, da dentro il mio interno ho inteso il benedetto Gesù che si lamentava continuamente. Quei lamenti hanno ferito il mio udito; ed un po’ destandomi ho detto: “Mio solo ed unico Bene, dai vostri lamenti avverto lo stato troppo sofferente in cui vi trovate; ciò vi avviene perché volete soffrire da solo e non farmi parte delle vostre pene; anzi, per non avermi in vostra compagnia mi avete assonnata e mi avete lasciata senza farmi capire più nulla. Capisco il tutto donde ciò viene, ed è [per essere] più libero nel castigare; ma deh, abbiate pietà, compassione, di me che senza di voi sono cieca, e di voi ché è sempre buono in tutte le circostanze avere chi vi faccia compagnia, chi vi sollevi e chi in qualche modo spezzi il vostro furore; perché per ora state nel furore di mandare flagelli, ma quando vedrete le nostre immagini perire per la miseria, manderete più lamenti che ora e forse mi direte: ‘Ah, se tu ti fossi più impegnata a placarmi, se avessi preso su di te le pene delle creature, non vedrei tanto straziate le mie stesse membra!’ Non è ciò vero, mio pazientissimo Gesù? Deh, sollevatevi un poco e lasciatemi soffrire in vece vostra!”

Mentre ciò dicevo, lui continuamente si lamentava, quasi in atto di volere essere compatito e sollevato; ma questo stesso sollievo del parteciparmi le sue pene, lo voleva strappato quasi per forza. Onde dietro le mie importunità ha disteso nel mio interno le sue mani e i suoi piedi inchiodati e mi ha partecipato un poco le sue pene. Dopo ciò dando un po’ di tregua ai suoi lamenti mi ha detto:

“Figlia mia, sono tristi tempi che a ciò mi costringono, perché gli uomini si sono tanto ingagliarditi ed insuperbiti che ognuno crede di essere dio a sé stesso; e se io non metto mano ai flagelli, farei un danno alle loro anime, perché la sola croce è l’alimento dell’umiltà. Onde se ciò non facessi, verrei io stesso a far loro mancare il mezzo come farli umiliare ed arrenderli dalla loro strana pazzia, sebbene la maggior parte degli uomini si irritano e mi offendono. Ma io faccio come un padre che spezza a tutti il pane come alimentarsi; ma alcuni figli non lo vogliono prendere, anzi se ne servono per gettarlo in faccia al padre. Che colpa ne ha il povero padre? Tale sono io; perciò compatiscimi nelle mie afflizioni”.

Detto ciò è scomparso, lasciandomi mezza desta e mezza addormentata, non sapendo io stessa né se debbo perfettamente destarmi né se devo un’altra volta assonnarmi.

 

Giugno 27, 1900  (87)

Quello che Gesù vuole dall’anima è che essa non più si riconosca in se stessa, ma si riconosca solamente in lui.

Continuo a starmi assonnata. Questa mattina per pochi minuti mi son trovata desta e comprendevo il mio stato miserabile e sentivo l’amarezza della privazione del mio sommo ed unico Bene. Appena ho potuto versare due lacrime, dicendogli: “Mio sempre buon Gesù, come non vieni? Queste non sono cose da farsi: ferire un’anima di te e poi lasciarla! E per soprappiù, per non farle conoscere quello che fate la lasciate in preda del sonno. Deh, venite, non mi fate tanto aspettare!”

Mentre ciò dicevo ed altri spropositi ancora, in un istante è venuto e mi ha trasportato fuori di me stessa; e siccome volevo dirgli il mio povero stato, Gesù, imponendomi silenzio, mi ha detto:

“Figlia mia, quello che voglio da te è di non più riconoscerti in te stessa, ma di riconoscerti solamente in me; sicché di te non più ti ricorderai, né avrai più di te riconoscenza, ma ti ricorderai di me e disconoscendo te stessa acquisterai la mia sola riconoscenza. Ed a misura che oblierai e distruggerai te stessa, così ti avanzerai nella mia conoscenza e ti riconoscerai solamente in me. Quando avrai tutto ciò fatto, non più penserai con la tua mente ma con la mia; non guarderai coi tuoi occhi, non più parlerai con la tua bocca né palpiterai col tuo cuore né opererai con le tue mani né camminerai coi tuoi piedi, ma guarderai coi miei occhi, parlerai con la mia bocca, palpiterai col mio cuore, opererai con le mie mani, camminerai coi miei piedi.

Perché ciò avvenga, cioè per riconoscerti solamente in Dio, l’anima ha bisogno che vada alla sua origine e che ritorni al suo principio, Iddio, da donde uscì, e che uniformi tutta sé stessa al suo Creatore; e tutto ciò che ritiene di sé stessa e che non è conforme al suo principio lo deve disfare e ridurre al nulla. In questo sol modo, nuda, disfatta, può ritornare alla sua origine e riconoscersi solo in Dio ed operare secondo il fine per cui è stata creata. Ecco perciò che per uniformarsi tutta in me, l’anima deve rendersi invisibile con me[61]”.

Mentre ciò diceva, io vedevo il castigo terribile delle piante disseccate, e come ancora più si deve inoltrare. Appena ho potuto dire: “Deh, Signore, come faranno le povere genti?” E lui per non darmi retta, come un lampo mi è sfuggito ed è scomparso. Chi può dire l’amarezza dell’anima mia nel ritrovarmi in me stessa, per non avergli potuto dire neppure una parola per me, e per il mio prossimo, e per la tendenza al sonno come di nuovo son rimasta?

 

Giugno 28, 1900  (88)

Quante maschere si smaschereranno in questi tempi di castighi!

Questa mattina, trovandomi sommamente afflitta per la privazione del mio amante Gesù, quando appena l’ho visto mi ha detto: “Figlia mia, quante maschere si smaschereranno in questi tempi di castighi! Perché questi castighi presenti non sono altro che una predisposizione a tutti quelli che ti manifestai lo scorso anno”.

Mentre ciò diceva, nel mio interno pensavo: “Se il Signore continua a fare come sta facendo, cioè che siccome vuole mandare castighi non viene, non mi partecipa le sue pene, mi tratta con modi insoliti, chi potrà resistere? Chi mi darà la forza a starmene in questo stato?”

E Gesù, rispondendo al mio pensiero ha soggiunto, in atto di compatimento: “Ed allora vuoi tu che ti sospenda lo stato di vittima e poi te lo faccio riprendere?”

Mentre ciò diceva, ho provato tale confusione e amarezza vedendo[62] che il Signore con quella proposta mi cacciasse da sé; non ho saputo dire né sì né no, anche per sentire che cosa decide l’ubbidienza. Onde, senza aspettare il mio dire è scomparso lasciandomi con un chiodo fitto nel cuore, nel pensare che Gesù mi rigettava da sé. Era tanto il dolore, che non ho fatto altro che versare lacrime amare.

 

Giugno 29, 1900  (89)

Nel vedere come sono ridotte le genti, Luisa prova una stretta al cuore.

Continuando a stare amareggiata, il mio adorabile Gesù avendo di me compassione è venuto, e pareva che mi sostenesse con le sue braccia. Poi, trasportandomi fuori di me stessa, vedevo che vi regnava un profondo silenzio, una mestizia, un lutto per ogni dove. Era tanta l’impressione che faceva sull’anima il vedere in quel modo le genti, che si provava una stretta al cuore. Allora il benedetto Gesù tirandomi come in disparte mi ha detto: “Figlia mia, allontaniamo per poco ciò che ci affligge e ristoriamoci a vicenda”.

E mentre ciò diceva ha cominciato a carezzarmi e sollevarmi con l’alito dei suoi dolci baci. Ma era tanta la confusione mia che non ardivo di rendergli i baci e le carezze; e lui ha soggiunto: “Come, io ristoro te coi casti baci e con le carezze, e tu non vuoi ristorare me col rendermi i tuoi baci e le tue carezze?” Così mi son sentita fiducia di rendergli la pariglia. Mentre ciò facevo è scomparso.

 

Luglio 2, 1900  (90)

Una croce risplendente mette in fuga una procella.

Continuo a starmi amareggiata ed afflitta come una stupida. Questa mattina non era venuto affatto. È venuto il confessore ed ha messo l’intenzione della crocifissione; in primo il benedetto Gesù non concorreva, onde dopo averlo pregato che si benignasse di farmi ubbidire, quando appena mi si faceva vedere e mi ha detto: “Che vuoi? Perché volermi fare violenza per forza una volta che è necessario castigare i popoli?”

Ed io: “Signore, non sono io, è l’ubbidienza che così vuole”.

E lui: “Ebbene, quando è l’ubbidienza ti voglio partecipare la mia crocifissione e frattanto voglio ristorarmi un poco”.

Mentre ciò diceva mi ha partecipato i dolori della croce, e mentre io soffrivo Gesù si è messo vicino a me e pareva che si ristorasse alquanto. Ora mentre mi trovavo in questa posizione, insieme con lui, mi ha fatto vedere nell’aria che da una parte veniva una nube, ma che al sol vederla metteva terrore e spavento, e tutti dicevano: “Questa volta moriamo”. Mentre tutti stavano atterriti, si è sollevata da mezzo a me e Gesù una croce risplendente, che facendosi contra a questa procella l’ha messa in fuga in gran parte (pare che fosse un uragano accompagnato da fulmini, che trascinava con sé le fabbriche), tanto che pareva che le genti si calmavano, e la croce che l’ha fugato in gran parte, mi pareva che fosse il piccolo mio patire che Gesù mi ha partecipato.

Sia benedetto il Signore e tutto sia per la sua gloria ed onore.

 

Luglio 3, 1900  (91)

Dice Gesù: “I castighi che sto mandando sono niente a confronto di quelli che stanno preparati”.

Questa mattina, avendo fatta la santa comunione, ho visto il mio adorabile Gesù e gli ho detto: “Mio diletto Signore, perché non volete placarvi?”

E Gesù benedetto, spezzando il mio dire ha risposto: “Eppure i castighi che sto mandando sono niente a confronto di quelli che stanno preparati”.

Mentre ciò diceva, innanzi a me vedevo tante persone infettate da malori contagiosi, che ne morivano. Onde presa da raccapriccio, gli ho detto: “Deh, Signore, ci vorrebbe anche questa! Che fate, che fate? Se ciò volete fare, toglietemi da questa terra, che non mi regge l’anima vedere spettacoli così funesti. Chi mi darà la forza di stare in questo stato?”

Mentre sfogavo la mia afflizione, Gesù compatendomi mi ha detto: “Figlia mia, non temere del tuo stato di assonnamento. Questo dice che, siccome sto io con le genti come se dormissi, come se non li sentissi e guardassi, così ho messo te nello stesso stato. Del resto, se ti dispiace, te lo dissi altra volta, vuoi che ti sospenda lo stato di vittima?”

Ed io: “Signore, non vuole l’ubbidienza che accetti la sospensione”.

E lui: “Ebbene, che vuoi da me? Statti quieta ed ubbidisci!”

Chi può dire quanto sono restata afflitta? Non solo, ma mi pare d’essere restate [63] addormentate le potenze interne, da vivere come se non vivessi. Ah, Signore, abbiate pietà di me, non mi lasciate in abbandono, in uno stato sì compassionevole e doloroso!

 

Luglio 9, 1900  (92)

L’anima veramente di Gesù, non solo deve vivere per Dio, ma in Dio.

Continua lo stesso stato e forse anche peggio, e se qualche volta [Gesù] si fa vedere ad ombra e a lampo, è quasi sempre in silenzio. E questa mattina trovandomi al sommo dell’afflizione e della stupidità per il sonno continuo, quando appena si è fatto vedere mi ha detto:

“L’anima veramente mia, non solo deve vivere per Dio, ma in Dio. Tu cerca di vivere in me, che in me troverai il ricettacolo di tutte le virtù, e passeggiando in mezzo a loro ti alimenterai del loro profumo, tanto da restarne satolla, e tu stessa non farai altro che mandare luce e profumo celeste, perché il vivere in me è la vera virtù ed ha virtù di dare all’anima la stessa forma della Divina Persona in cui fa la sua dimora, e di trasformarla nelle stesse virtù divine in cui si nutrisce”.

Dopo ciò come un lampo è scomparso, e l’anima mia correndo dietro a quel lampo si è trovata fuori di me stessa, ma era già sfuggito e non mi è stato dato di ritrovarlo; ed ho subito solo l’amarezza di vedere grandine terribile che aveva fatto grande strage, fulmini come se avesse[ro] prodotto degli incendi, ed altre cose che stavano preparate. Visto ciò mi son ritrovata in me stessa più afflitta di prima.

 

Luglio 10, 1900  (93)

Perché un’anima viva nella Divinità e vi abiti, deve lasciare tutto per trovare tutto in Dio.

Trovandomi nella stessa confusione, come un lampo [Gesù] si è fatto vedere, e mi ha fatto capire che non avevo scritto tutto ciò che lui mi aveva detto il giorno innanzi, cioè che l’anima non solo deve vivere per Dio. Onde il benedetto Gesù mi ha ripetuto la differenza che passa tra il vivere per Dio e il vivere in Dio, col dirmi:

“Nel vivere per Dio, l’anima può star soggetta alle turbazioni, alle amarezze, essere incostante, a sentire il peso delle passioni, a mischiarsi nelle cose terrene. Ma il vivere in Dio, no, è tutto diverso, perché la cosa principale per potersi dire che una persona vivesse in un’altra persona, dovrebbe avvenire che avesse lasciato i propri pensieri ed avesse pure quelli dell’altra, così del suo stile, dei suoi gusti, e ancor più che avesse lasciato la sua volontà per prendere la volontà dell’altra.

Così, perché un’anima viva nella Divinità e vi abiti, deve lasciare tutto ciò che è suo, cioè spogliarsi di tutto, lasciare le proprie passioni; in una parola lasciare tutto per trovare tutto in Dio. Or quando l’anima si è non solo spogliata, ma assottigliata ben bene, allora potrà entrare per la porta stretta del mio cuore a vivere in me, a mio modo e della mia stessa vita; perché sebbene il mio cuore è larghissimo, tanto che non c’è termine ai suoi confini, ma la porta è strettissima e solo può entrarvi chi è denudato del tutto. E questo con ragione, perché essendo io Santissimo, non ammetterei giammai a vivere in me alcunché che fosse estraneo alla mia santità. Perciò, figlia mia, cerca di vivere in me e possederai il paradiso anticipato”.

Chi può dire quanto io comprendevo di questo vivere in Dio? Ma dopo è scomparso e sono rimasta nel mio stesso stato.

 

Luglio 11, 1900  (94)

Dice Gesù a Luisa: “Col richiamare in te le mie sofferenze verrai a placare il furore mio”.

Questa mattina avendo fatta la santa comunione e continuando lo stesso stato di confusione, me ne stavo tutta rannicchiata in me stessa, quando dopo [ho] visto il mio adorabile Gesù che veniva a me tutto in fretta dicendomi: “Figlia mia, spezzami un poco il mio furore, altrimenti...”.

Onde io tutta spaventata ho detto: “Che volete che faccia per spezzare il vostro furore?”

E lui: “Col richiamare in te le mie sofferenze verrai a placare il furore mio”.

In questo mentre, vedevo come se chiamasse il confessore mandando un raggio di luce, e lui subito ha messo l’intenzione di farmi soffrire la crocifissione. Il Signore benedetto prontamente ha concorso ed io mi son trovata in tante sofferenze che per la forza dei dolori mi sentivo uscire l’anima dal corpo. Quando mi credevo in punto di spirare, e contenta io che Gesù ricevesse l’ani­ma mia, ho visto il confessore che col dire basta mi richiamava in me stessa. Allora Gesù mi ha detto:

“L’ubbidienza ti chiama”.

Ed io: “Deh, Signore, me ne voglio venire!”

E Gesù: “Che vuoi da me? L’ubbidienza continua a chiamarti”.

E così pare che questa nuova ubbidienza non ha fatto andare più innanzi le sofferenze. Ma obbedienza certo per me crudele,che mentre mi pareva afferrare il porto, sono stata sbalzata fuori a navigare la via.

Onde dopo, sebbene son rimasta sofferente, ma non mi sentivo quella cosa di morire, il mio benigno Signore ha ripreso a dire: “Figlia mia, se tu oggi non avessi spezzato il mio furore, era giunto tanto al colmo che non solo avrei distrutto le piante, ma anche gli uomini; e se lo stesso confessore non si fosse interposto col richiamare in te le mie sofferenze, non avrei avuto neppure riguardo di lui. È vero che sono necessari i castighi, ma è necessario che di tanto in tanto, quando il mio furore s’inoltra, tu me lo spezzi, altrimenti quanti flagelli manderei!”

E mentre ciò diceva, mi pareva di vederlo stanco che lamentandosi diceva: “Figli miei, poveri figli miei, come vi vedo ridotti!”

E con mia sorpresa mi ha fatto capire che dopo essersi calmato un poco, doveva riprendere il furore per continuare i castighi, e questo era servito solo a non farlo troppo infierire contro le genti. Ah, Signore, placatevi ed abbiate pietà di quei tali che voi stesso chiamate ‘figli miei’!

 

Luglio 14, 1900  (95)

Il decreto dei castighi è firmato, non resta altro che decidere il tempo dell’esecuzione.

Pare che ho passati diversi giorni senza stare immersa nel letargo del sonno, ed un poco insieme con Gesù benedetto, dandoci a vicenda un po’ di ristoro. Ma quanto temo che mi abbia a gettare un’altra volta in quel sonno così profondo! Onde questa mattina, dopo avermi ristorato col latte che scendeva dalla sua bocca versandolo in me, ed io l’ho ristorato col togliergli la corona di spine per conficcarla nella mia testa, tutto afflitto mi ha detto:

“Figlia mia, il decreto dei castighi è firmato, non resta altro che decidere il tempo dell’esecuzione”.

 

Luglio 16, 1900  (96)

Dice Gesù: “La migliore cosa è rimettersi in me; essendo io pace, ancorché [tu] vedessi mandare castighi, resteresti in pace senza provare turbazione”.

Questa mattina il mio adorabile Gesù non ci veniva. Dopo molto aspettare è venuto e mi ha detto:

“Figlia mia, la migliore cosa è rimettersi in me; essendo io pace, ancorché [tu] vedessi mandare castighi, resteresti in pace senza provare turbazione”.

Ed io: “Ah, Signore, sempre là andate: ai castighi! Placatevi una volta e non più flagelli; e poi non posso rimettermi al vostro Volere a questo riguardo”.

E lui ha soggiunto: “Non posso placarmi. Che diresti tu se vedessi una persona denudata, che invece di coprire la sua nudità badasse ad adornarsi di gioielli, tralasciando di coprire la sua nudità?”

Ed io: “Mi farebbe orrore a vederla e certo l’avrei biasimata”.

E lui: “Ebbene, tali sono le anime, denudate del tutto non hanno più virtù che le coprono; onde è necessario che le percuota, le flagelli, le assoggetti a privazioni, per farle rientrare in loro stesse e farle badare alla nudità delle loro anime, alle quali il vestimento delle virtù e della grazia è a loro immensamente più necessario che non sia al corpo il coprirsi coi vestimenti. E se io non usassi i castighi con queste anime, vuol dire che baderei ai gingilli, quali sono le cose che si riferiscono al corpo, come la persona da te biasimata, e non baderei alla cosa più essenziale qual è l’anima, che l’han ridotta sì mostruosa da non più riconoscersi”.

Dopo ciò mi pareva che tenesse in mano una cordicella, che menandola da dietro il collo mi legava, e poi legava il suo a quella stessa corda; e così ha fatto al cuore, alle mani, e con ciò pareva che mi legasse tutta al suo Volere. Fatto ciò è scomparso.

 

Luglio 17, 1900  (97)

Dice Gesù: “Figlia, stavo ad aspettarti per potermi in te un po’ riposare, ché più non posso”.

Avendo fatta la santa comunione, non vedevo secondo il solito il benedetto Gesù; onde, dopo aver molto aspettato mi son sentita uscire fuori di me stessa e l’ho trovato. Appena visto mi ha detto:

“Figlia, stavo ad aspettarti per potermi in te un po’ riposare, ché più non posso; deh, dammi un sollievo!”

Subito l’ho preso fra le mie braccia per contentarlo, e l’ho visto che teneva una piaga profonda alla spalla, che faceva compassione e ribrezzo a guardarla; onde per pochi minuti si è riposato, e dopo quel breve riposo ho fatto per guardare e la piaga era risanata. Quindi tra la meraviglia e lo stupore e vedendolo più sollevato, ho preso coraggio e gli ho detto:

“Signore benedetto, il mio povero cuore è straziato da un timore che non mi vuoi più bene, temo che sia in corso la tua indignazione; perciò non più venite come prima e non versate in me le vostre amarezze e non date più a me il mio bene, qual è il patire, e negandomi questo, venite a negarmi voi stesso. Deh! date la pace al mio povero cuore: dimmi, assicurami, giurami, mi vuoi bene? Continui a volermi bene?”

E lui: “Sì, sì, sì, ti voglio bene”.

Ed io: “Come posso essere sicura di ciò, mentre quando ad una persona si vuole vero bene, tutto ciò che vuole si dà? Io vi dico: ‘Non castigate le genti’, e voi castigate, ‘versate le amarezze’, e voi non versate, anzi pare che questa volta vi inoltrate troppo. Onde dove posso io appoggiarmi che mi volete bene?”

E lui: “Figlia mia, tu tieni conto dei castighi che mando, e di quelli che risparmio non ne fai conto. Quanti altri castighi avrei mandato, quante altre stragi e sangue avrei fatto versare se non avessi riguardo a quei pochi che mi amano ed io amo di un amore speciale?”

Onde dopo ciò, pareva che Gesù prendesse la via per andare dove succedevano strazi di carne umana, ed io volendo seguirlo non mi è stato dato di farlo, e con mio sommo rammarico mi son trovata in me stessa.

 

Luglio 18, 1900  (98)

Dove giunge la cecità degli uomini, che mentre cercano di ferire Gesù feriscono sé stessi con le loro proprie mani!

Trovandomi nel solito mio stato, quando appena ho visto il mio adorabile Gesù tutto afflitto dentro il mio cuore, ed insieme ho visto molta gente che commetteva tanti peccati; questi peccati prendevano la volta verso di me per venire a ferire il mio diletto Signore fin dentro il mio cuore. Ma Gesù respingendoli da sé, venivano a cadere sopra le stesse genti, e cadendo sopra di loro formavano la loro stessa rovina, cambiandosi in tante specie di flagelli sopra i popoli, da fare raccapricciare i cuori più duri. Allora Gesù tutto affliggendosi mi ha detto:

“Figlia mia, dove giunge la cecità degli uomini, che mentre cercano di ferire me feriscono sé stessi con le loro proprie mani!”

 

Luglio 19, 1900  (99)

Dice Luisa a Gesù: “Non era minor male veder soffrire una sola che tanti poveri popoli?”

Questa mattina, dopo essere stata tutta la notte e gran parte della mattina ad aspettare il mio adorabile Gesù, non si benignava di venire. Onde stanca di aspettarlo mi sforzavo di uscire dal mio solito stato, pensando che non fosse più Volontà di Dio. Mentre mi sforzavo di uscire quasi impaziente, il mio benigno Gesù si è mosso da dentro il mio cuore facendosi vedere appena e guardandomi in silenzio. Impaziente com’ero gli ho detto: “Mio buon Gesù, come tanto crudele? Si può dare crudeltà più grande di questa: l’abbandonare un’anima in preda allo spietato tiranno dell’amore che la fa vivere in continua agonia? Oh, come ti sei cambiato da amante in tiranno!”

Mentre ciò dicevo, innanzi a me vedevo tante membra di genti mutilate; perciò ho soggiunto: “Ah, Signore, quanta carne umana mutilata! Quante amarezze e pene! Ahi, non era minor crudeltà se ti fossi soddisfatto in questo mio corpo e farlo in tanti pezzi per quante divisioni avete fatto fare in queste membra? Non era minor male veder soffrire una sola che tanti poveri popoli?”

Mentre ciò dicevo, Gesù continuava a guardarmi fisso, come se restasse colpito, non so dire se dispiaciuto. Pure mi ha detto: “Eppure è il principio del giuoco, ancora è niente a confronto di ciò che verrà”.

Detto ciò si è involato alla mia vista senza poterlo più vedere, lasciandomi in un mare di amarezze.

 

Luglio 21, 1900  (100)

È necessario lo spargimento del sangue per purgare il campo di Gesù dalle acque velenose e pestifere.

Dopo aver passato un giorno assorbita e tanto assonnata che non capivo me stessa, avendo fatta la santa comunione mi son sentita uscire fuori di me stessa, e non ho trovato il mio sommo ed unico Bene; ho incominciato a girare e rigirare dando in delirio.

Mentre ciò facevo, mi son sentita una persona in braccio, tutta velata, che non potevo vedere chi fosse. Onde non potendo più resistere ho squarciato quel velo ed ho visto il sospirato mio tutto. Nel vederlo mi son sentita che volevo rompere in querele e spropositi, ma Gesù per spezzare la mia impazienza ed il mio delirio ha baciato questa misera creatura. Il bacio di quelle divine labbra mi ha infuso la vita, la calma; ha spezzata la mia impazienza, tanto che non ho saputo dire più niente. Allora dimenticando tutte le mie miserie, che ne ho tante, mi son ricordata delle povere genti ed ho detto a Gesù:

“Placatevi, risparmiate tanti popoli da stragi così crudeli, andiamo insieme, a quelle parti dove tali cose succedono, acciocché rincoriamo, consoliamo quei poveri cristiani che si trovano in sì triste stato”.

E lui: “Figlia mia, non voglio portarti, che il tuo cuore non reggerebbe a vedere carneficina sì straziante”.

Ed io: “Ah, Signore, come è stato che ciò avete permesso?”

E lui: “[È] necessario assolutamente per la purgazione in tutte le regioni, perché nel campo seminato da me sono cresciute tanto le cattive erbe, le spine, che si son fatti alberi, e questi alberi spinosi non fanno altro che attirare nel mio campo acque velenose e pestifere; e se qualche spiga si mantiene intatta, non riceve altro che punture e fetore, tanto che non possono germogliare altre spighe, primo perché manca loro il terreno occupato da tante piante nocive, secondo per le continue punture che ricevono che non danno loro pace. Ecco la necessità della strage per svellere tante piante cattive, e lo spargimento del sangue per purgare il mio campo dalle acque velenose e pestifere. Perciò non volerti rattristare al principio, perché [non] solo là dove ho mandato già i flagelli, ma a tutte le altre parti ci vuole la purgazione”.

Chi può dire la costernazione del mio cuore nel sentire questo parlare di Gesù? Onde di nuovo ho insistito che volevo andare a vedere, ma Gesù non dandomi retta mi è scomparso; ed io rimasta sola, ho preso la via per andare a trovarlo, ma or trovavo il mio angelo che mi rimandava indietro ed ora anime purganti, tanto che sono stata costretta a ritornare in me stessa.

 

Luglio 23, 1900  (101)

Non ci può essere in Gesù crudeltà alcuna, ma tutto è amore.

Questa mattina il mio adorabile Gesù è venuto e mi ha fatto vedere una macchina, dove pareva che si stritolassero tante membra umane, e come due segni nell’aria di castighi che mettevano terrore. Chi può dire la costernazione del mio cuore nel vedere tutto ciò? Ma il benedetto Gesù vedendomi così amareggiata mi ha detto: “Figlia mia, allontaniamo per poco ciò che tanto ci affligge e solleviamoci col giocare un poco insieme”.

Chi può dire ciò che è passato tra me e Gesù in questo giuoco, le finezze d’amore, gli stratagemmi, i dolci baci, le carezze che a vicenda ci facevamo? Sebbene mi passava[64] il mio diletto Gesù, perché io essendo debole venivo meno, tanto vero che non potendo contenere in me ciò che lui mi dava, ho detto: “Diletto mio, basta, basta, più non posso, io vengo meno, il mio povero cuore non è tanto largo d’essere capace di ricevere tanto, perciò basta per ora”.

Allora volendomi rimproverare il parlare dell’altro giorno, dolcemente mi ha detto: “Fammi sentire le tue querele, dì, dì, sono io crudele? Il mio amore per te si è cambiato in crudeltà?”

Ed io, tutta arrossendo ho detto: “No, Signore, non siete crudele quando venite, ma quando non ci venite allora dico che siete crudele”.

Sorridendo lui al mio dire, ha soggiunto: “Pure continua a dire che quando non vengo sono crudele. No, no, non ci può essere in me crudeltà alcuna, ma tutto è amore; e sappi che se è come tu dici, lo stesso essere crudele è amore più grande”.

 

Luglio 27, 1900  (102)

I finti religiosi, unendosi agli aperti nemici della Chiesa, le daranno tale un assalto che pare incredibile a mente umana.

Trovandomi tutta preoccupata sul misero mio stato, specialmente che non fosse più Volontà di Dio, e ritenevo come indizio vero di ciò lo scarso patire e le continue sue privazioni. Ora mentre io stavo logorando il piccolo mio cervello su ciò e sforzandomi ad uscirne [65], il mio sempre amabile buon Gesù come lampo si è fatto vedere, dicendomi: “Figlia mia, che vuoi tu che faccia? Dimmi. Farò ciò che vuoi tu”.

Ed io, ad una proposta così inaspettata, non ho saputo che dire; provavo tale una confusione che il benedetto Gesù dovesse fare ciò che io volevo, mentre io devo fare ciò che lui vuole, che sono restata muta. Onde non vedendo dire niente, come lampo è sfuggito; ed io correndo dietro a quella luce mi son trovata fuori di me stessa, ma non l’ho trovato, e sono andata girando la terra, il cielo, le stelle; ed or lo chiamavo con la voce, ora col canto, pensando tra me che il benedetto Gesù a sentire la voce ed il mio canto resterebbe ferito e con sicurezza l’avrei trovato.

Or mentre giravo ho visto lo strazio crudele che si continua a fare nella guerra della Cina, le chiese abbattute, le immagini di Nostro Signore gettate per terra, e questo è niente ancora. Quello che mi ha fatto più spavento è stato che se or lo fanno i barbari, poi lo faranno i finti religiosi, che smascherandosi e facendosi conoscere chi sono, unendosi agli aperti nemici della Chiesa, daranno tale un assalto che pare incredibile a mente umana. Oh, quanti strazi più crudeli! Pare che hanno giurato di finirla per la Chiesa[66]. Ma il Signore prenderà vendetta di loro col distruggerli; perciò sangue da una parte e sangue dall’altra.

Perciò mi son trovata dentro un giardino che mi pareva che fosse la Chiesa, e là dentro vi era una turba di gente sotto l’aspetto di dragoni, di vipere e di altre bestie inferocite, che devastavano quel giardino, e poi uscendo fuori formavano la rovina delle genti.

Or mentre ciò vedevo, mi son trovata in braccio il mio diletto Signore ed ho detto: “Finalmente vi siete fatto trovare, siete voi veramente il mio caro Gesù?”

E lui: “Sì, sì, sono il tuo Gesù”.

Ed io volevo dirgli che risparmiasse a tanta gente, e lui, non dandomi retta a questo, tutto afflitto ha soggiunto: “Figlia mia, sono stanco abbastanza, andiamo nel Divin Volere se vuoi che mi trattenga con te”.

Ed io temendo che se ne andasse ho fatto silenzio facendogli prendere sonno. Onde poco dopo è rientrato nel mio interno, lasciandomi rincuorata, ma sommamente afflitta.

 

Luglio 30, 1900  (103)

Nell’Italia si alza un fuoco ed un altro ne sta alzato nella Cina; a poco a poco si confondono in uno solo.

Ho passato una notte ed un giorno inquieta. Più da principio mi sentivo uscire fuori di me stessa, senza che potessi trovare il mio adorabile Gesù. Non vedevo altro che cose che mi facevano terrore e spavento. Vedevo che nell’Italia si alzava un fuoco ed un altro ne stava alzato nella Cina, che a poco a poco, unendosi insieme, si confondevano in uno solo. In questo fuoco vedevo il re dell’Italia, per inganno repentinamente morto; questo era mezzo come aizzare ed ingrandire l’incendio. Insomma vedevo una gran sommossa, un tumulto di gente, un uccidere gente. Con queste cose vedute mi sentivo in me stessa, e mi sentivo straziarmi l’animo da sentirmi morire, molto più che non vedevo il mio adorabile Gesù. Onde dopo molto aspettare, si è fatto vedere con una spada in mano, in atto di menarla sopra la gente. Mi sono spaventata, e fatta un po’ ardita ho preso in mano la spada, dicendogli: “Signore, che fate? Non vedete quanti strazi succederanno se menate questa spada? Quello che più mi addolora [è] che veggo che prendete in mezzo l’Italia! Ah, Signore, placatevi, abbiate pietà delle vostre immagini! E se dite che mi amate, risparmiate a me questo acerbo dolore”.

E mentre ciò dicevo, mi tenevo con quanta più forza potevo la spada. Gesù mandando un sospiro, tutto afflitto mi ha detto: “Figlia mia, lasciala cadere sopra le genti, ché più non posso”.

Ed io, stringendola più forte: “Non posso lasciarla, non mi dà l’animo di farlo”.

E lui: “Non te l’ho detto tante volte che son costretto a non farti vedere niente, altrimenti non son libero di fare ciò che voglio?”

E mentre ciò diceva, ha abbassato il braccio con la spada e si è messo in atto di calmarsi del suo furore. Dopo poco è scomparso, ed io son rimasta con timore: chi sa, senza ancor farmi vedere niente, mi tirasse la spada e la menasse sopra le genti. O Dio, che crepacuore il solo ricordarmi!

 

Agosto 1, 1900  (104)

L’uomo, mettendosi di fronte all’umanità di Gesù, ha il bene di potersi purificare, santificare ed anche divinizzare nella sua stessa umanità deificata.

Continua il mio adorabile Gesù a venire scarsissime volte e per poco tempo. Questa mattina mi sentivo tutta annientata e quasi non ardivo di andare in cerca del mio sommo Bene; ma lui sempre benigno, è venuto e volendomi infondere fiducia mi ha detto:

“Figlia mia, innanzi alla mia maestà e purità, non vi è chi possa stare di fronte, anzi tutti sono costretti a starsene atterriti e colpiti dal fulgore della mia santità. L’uo­mo vorrebbe quasi fuggire da me, perché è tale e tanta la sua miseria che non ha coraggio di sostenersi innanzi a Dio. Ed ecco che facendo campo[67] della mia misericordia assunsi l’umanità, che temperando i raggi della Divinità è mezzo come infondere fiducia e coraggio all’uo­mo per venire a me; il quale mettendosi di fronte alla mia umanità, che spande raggi temperati della Divinità, ha il bene di potersi purificare, santificare ed anche divinizzare nella mia stessa umanità deificata. Perciò tu statti sempre di fronte alla mia umanità, tenendola come specchio in cui tergerai tutte le tue macchie; non solo, ma come specchio in cui rimirandoti acquisterai la bellezza e man mano andrai ornandoti a somiglianza di me medesimo. Perché è proprietà dello specchio far comparire dentro di sé l’immagine simile a quella di chi si rimira; se tale è lo specchio materiale, molto più è il divino, perché la mia umanità serve all’uomo come specchio per rimirare la mia Divinità. Ecco perciò che tutti i beni all’uomo dalla mia umanità derivano”.

Mentre ciò diceva, mi sentivo infondere tale fiducia che mi è venuto il pensiero di volergli parlare dei castighi; chi sa mi avesse data udienza o potessi avere l’in­tento di placarlo del tutto! Ma mentre mi accingevo a ciò, come lampo è scomparso, e l’anima mia correndo dietro a lui si è trovata fuori di me stessa; ma non l’ho potuto più ritrovare. E con sommo mio rammarico ho visto tante persone che andavano nelle carceri, altri settari che uscivano per attentare altre vite di re e di altri capi; vedevo che si rodevano di rabbia perché manca loro il mezzo ancora come uscire tra i popoli e farne macello, eppure giungerà il tempo loro. Onde dopo ciò mi son trovata in me stessa tutta oppressa ed afflitta.

 

Agosto 3, 1900  (105)

La mano di Dio là opera dove c’è il nulla, e mai vi mescola le sue opere con le opere materiali.

Trovandomi nel solito mio stato, stavo desiderando e cercando il mio amato Gesù, onde dopo averlo lungamente aspettato è venuto e mi ha detto: “Figlia mia, perché mi cerchi fuori di te, mentre potresti più facilmente ritrovarmi dentro di te? Quando tu mi vuoi trovare entra in te, giungi fin nel tuo nulla, ed ivi senza di te, nel brevissimo giro del tuo nulla scorgerai le fondamenta che ha gettate in te e le fabbriche che ha innalzato in te l’Es­sere Divino. Guarda e vedi”.

Io ho guardato ed ho visto le solide fondamenta e le mura altissime che giungevano fino al cielo. Ma quello che mi faceva più stupire era che vedevo che il Signore aveva fatto questo bel lavoro sopra il mio nulla, e le mura erano tutte murate senza nessuna apertura. Si vedeva solo alla volta un’apertura che corrispondeva solo al cielo, ed in questa apertura vi risiedeva Nostro Signore, sopra una colonna stabile che sporgeva dalle fondamenta formate sul nulla. Ora mentre me ne stavo tutta stupita a guardare, il benedetto Gesù ha soggiunto:

“Le fondamenta formate nel nulla significa che la mano di Dio là opera dove c’è il nulla, e mai vi mescola le sue opere con le opere materiali. Le mura senza aperture all’intorno, è che l’anima non deve avere nessuna corrispondenza di attacchi con le cose terrene, tanto che non c’è nessun pericolo che vi potesse entrare neppure un poco di polvere, perché tutto ben murato. La sola corrispondenza che le danno queste mura è per il cielo, cioè dal nulla al cielo, ed ecco il significato dell’aper­tura fatta nella volta; la stabilità della colonna è che l’anima è tanto stabile nel bene che non c’è vento contrario che la possa muovere, ed io che vi risiedo sopra è indizio certo che l’opera fatta è tutta divina”.

Chi può dire quello che comprendevo su ciò? Ma la mia mente si perde e non sa dire nulla. Sia sempre benedetto il Signore e sia tutto per sua gloria ed amore.

 

Agosto 9, 1900  (106)

Tutto ciò che esce da Dio entra in Dio.

Questa mattina il mio adorabile Gesù non ci veniva, onde ho molto aspettato; quando appena si è fatto vedere mi ha detto: “Come uno strumento musicale risuona gradito all’orecchio di chi lo ascolta, così i tuoi desideri, le lacrime tue, risuonano al mio udito come una musica delle più gradite; ma per fare che scenda più dolce e dilettevole ti voglio insegnare un altro modo, cioè desiderarmi non come desiderio tuo, ma come desiderio mio, perché io amo grandemente di manifestarmi teco. Insomma, tutto ciò che tu vuoi e desideri, volerlo e desiderarlo perché lo voglio io; cioè prenderlo da dentro di me e farlo tuo, così sarà più dilettevole la tua musica al mio udito, perché è musica uscita da me stesso”.

Poi ha soggiunto: “Tutto ciò che esce da me entra in me; ecco perciò che gli uomini si lamentano che non ottengono così facile quello che mi domandano, perché non sono cose che escono da me, e non essendo cose che escono da me, non sono così facili ad entrare in me e uscire per poi darsi a loro; perché esce da me ed entra in me tutto ciò che è santo, puro e celeste. Or qual mera­viglia se viene loro chiusa l’udienza quando ciò che mi domandano non sono [cose] prese dentro di me? Ecco, perciò, tieni tu bene a mente che tutto ciò che esce da Dio entra in Dio”.

Chi può dire ciò che comprendevo sopra queste due parole? Ma non ho parole a sapermi spiegare. Ah! Signore, datemi grazia che possa domandare tutto ciò che è santo e che sia desiderio e Volontà vostra, così potete comunicarvi con me più abbondantemente.

 

Agosto 19, 1900  (107)

Il solo amore operante è quello che distingue i veri dai falsi amatori, ché tutto il resto è fumo.

Questa mattina, dopo presa la santa comunione, il mio diletto Gesù si è fatto vedere in atto di volermi ammaestrare. Portava come un esempio e mi ha detto: “Figlia mia, se un giovane prendesse moglie, e questa presa d’amore verso di lui volesse stare sempre insieme senza staccarsi un momento, senza badare alle altre cose e fac­cende di casa, dovute da una moglie per felicitare questo giovane, or che direbbe costui? Gradirebbe l’amore di costei, ma al certo non sarebbe contento della condotta di questa tale, perché questo modo di amare non sarebbe altro che un amore sterile, infecondo, che porterebbe danno a quel povero giovane anziché frutto, ed a poco a poco questo strano amore recherebbe noia a costui anziché gusto; perché tutta la soddisfazione di questo amore sarebbe solamente della giovane. E siccome l’amore sterile non ha legna come fomentare il fuoco, presto presto verrebbe ad incenerirsi; perché il solo amore operante è durevole, gli altri amori come fumo se ne volano al vento. E poi si giunge ad infastidirsi, a non curare e forse a disprezzare ciò che tanto si amava. Tale è la condotta di quelle anime che badano solo a sé stesse, cioè alla loro soddisfazione, ai fervori ed a tutto ciò che loro gradisce, dicendo che questo è amor per me, mentre è tutta loro soddisfazione, perché si vede coi fatti che non prendono cura dei miei interessi e delle cose che a me appartengono; e se viene a mancare ciò che le soddisfa, più non si curano di me e giungono anche ad offendermi. Ah, figlia, il solo amore operante è quello che distingue i veri dai falsi amatori, ché tutto il resto è fumo!”

Mentre ciò diceva vedevo persone, ed io come se volessi badare a quelle, ma Gesù mi ha distratto da ciò col dirmi: “Non volerti impicciare dei fatti altrui, lasciamoli fare perché ogni cosa tiene il suo tempo; quando sarà il tempo del giudizio allora sarà il tempo di discernere tutte le cose, che crivellandosi ben bene si verrà a conoscere il grano e le paglie ed il seme sterile e nocivo. Oh, quante cose che compariscono grano si troveranno in quel giorno paglie e semi sterili, degne solo d’essere gettate nel fuoco!”

 

Agosto 20, 1900  (108)

Gesù sta dentro Luisa e per mezzo di lei rimira il mondo.

Questa mattina il mio adorabile Gesù non ci veniva, onde dopo molto aspettare, quando il mio povero cuore non ne poteva più, si è fatto vedere da dentro il mio interno e mi ha detto: “Figlia mia, non volerti affliggere che non mi vedi, ché sto dentro di te, e da qui per mezzo tuo sto rimirando il mondo”.

Onde dopo ha continuato a farsi vedere di tanto in tanto senza dirmi più niente.

 

Agosto 24, 1900  (109)

Tutto si converte in bene per chi veramente mi ama.

Avendo passato un giorno inquieta, mi sentivo tutta piena di tentazioni e peccati. Oh, Dio, che pena straziante è l’offendervi! Facevo quanto più potevo a starmene in Dio, a rassegnarmi al suo Santo Volere, ad offrirgli per amor suo quello stesso stato inquieto, a non dar retta al nemico, mostrandomi con somma indifferenza acciocché non l’avessi io stessa aizzato a tentarmi maggiormente, ma con tutto ciò non potevo fare a meno di sentire il bisbiglio che il nemico mi suscitava d’intorno.

Onde trovandomi nel solito mio stato non ardivo desiderare il mio diletto Gesù, tanto mi vedevo brutta e miserabile. Ma lui, sempre benigno con questa peccatrice, senza che lo chiedessi è venuto, e come se mi compatisse mi ha detto: “Figlia mia, coraggio, non temere; sai tu che certe acque fredde ed impetuose sono più potenti a purgare da ogni minimo neo, che lo stesso fuoco? E poi, tutto si converte in bene per chi veramente mi ama”.

Detto ciò è scomparso, lasciandomi rincorata, sì, ma debole come se avessi sofferto una febbre.

 

Agosto 30, 1900  (110)

La Regina Mamma offre Luisa a Gesù come vittima, per placare la divina giustizia.

Avendo passato parecchi giorni di privazione e d’amarezze, al più vistolo qualche volta ad ombra ed a lampo, questa mattina [ero] al sommo dell’amarezza; non solo ma mi sentivo come se avessi perduto la speranza di più rivederlo. Onde dopo aver fatta la santa comunione mi pareva che il confessore mettesse l’inten­zione della crocifissione. Allora il benedetto Gesù per farmi obbedire si è mostrato e mi ha partecipato le sue pene.

In questo frattempo ho visto la Regina Mamma che prendendomi mi offriva a lui, acciò si placasse; e Gesù avendo riguardo alla Mamma accettava l’offerta e pareva che si placasse un poco. Dopo ciò la Mamma Regina mi ha detto: “Vuoi tu venire in purgatorio a sollevare il re dalle pene orribili in cui si trova?”

Ed io: “Mamma mia, come lei vuole”.

In un istante mi ha preso e di volo mi ha trasportato in un luogo di supplizi atroci, tutti di continue morti. E là ci stava quel misero che da un supplizio passava al­l’altro. Pareva che [per] quante anime si erano perdute per causa sua, altrettante morti lui doveva subire. Onde dopo essere passata io per parecchi di quei supplizi e restato lui un po’ sollevato, di nuovo la Santissima Vergine mi ha sottratto da quel luogo di pene e mi son trovata in me stessa.

 

Agosto 31, 1900  (111)

Nelle anime di vita interiore non ci può stare la turbazione.

Trovandomi al solito mio stato e non vedendo il mio adorabile Gesù, me ne stavo tutta afflitta, ed un po’ impensierita sul perché non ci veniva. Onde dopo molto aspettare e riaspettare è venuto, e vedendolo che dalle mani sgorgava sangue, l’ho pregato che dalla mano sinistra versasse il sangue sopra il mondo a pro dei peccatori che stavano per morire ed in pericolo di perdersi, e dalla mano destra che versasse il suo sangue sopra il purgatorio. E lui, benignamente ascoltandomi, si è scosso ed ha versato sangue sopra una parte e sopra l’altra.

Dopo ciò mi ha detto: “Figlia mia nelle anime interne[68] non ci può stare la turbazione, e se vi entra è perché esce fuori di sé stessa, e facendo così è fare da carnefice a sé stessa; perché uscendo fuori di sé stessa s’appiglia [a] tante cose che né riguardano e che non sono Dio, e delle volte neppure cose che riguardano il vero bene dell’anima; onde ritornando in sé stessa e portando cose che sono estranee, si strazia da sé stessa e con ciò viene ad infermare sé stessa e la grazia. Perciò statti sempre in te stessa e starai sempre calma”.

Chi può dire ciò che comprendevo con chiarezza, e come trovavo la verità in queste parole di Gesù? Ah! Signore, se vi benignate di ammaestrarmi, datemi grazia di profittare dei vostri santi ammaestramenti, altrimenti sarà per mia condanna.

 

Settembre 1, 1900  (112)

L’ubbidienza spezza le contese e toglie i corrucci, e mette pace tra Dio e l’anima.

Continuando [Gesù] a non venire, andavo dicendo: “Mio buon Gesù, non farmi tanto aspettare, questa mattina non ho voglia d’inquietarmi e cercarvi tanto fino a stancarmi, venite una volta subito, così, alla buona”.

E vedendo che non ci veniva, continuavo a dire: “Si vede che volete che mi debbo stancare e giungere fino ad inquietarmi, altrimenti non ci venite”.

Mentre ciò ed altri spropositi dicevo, è venuto e mi ha detto: “Mi sapresti dire chi mantiene la corrispondenza tra l’anima e Dio?”

Ed io, ma sempre con una luce che mi veniva da lui, ho detto: “L’orazione”.

E Gesù, approvando il mio detto, ha soggiunto: “Ma chi attira Iddio a familiare conversazione con l’anima?”

Ed io non sapendo rispondere, subito la luce si è mossa nel mio intelletto, ed ho detto: “Se l’orazione vocale serve a mantenere la corrispondenza, certo che la meditazione interna deve servire di alimento come mantenere la conversazione tra Dio e l’anima”.

Lui contento di ciò ha replicato: “Or mi sapresti tu dire chi spezza le dolci catene, chi toglie gli amorosi corrucci che possono insorgere tra Dio e l’anima?”

Ed io non rispondendo, lui stesso ha detto: “Figlia mia, la sola ubbidienza tiene questo uffizio; perché lei sola decide delle cose spettanti tra me[69] e l’anima, avvenendo delle contese o pure prendendo qualche corruccio per mortificare [l’anima], sorgendo l’ubbidienza spezza le contese e toglie i corrucci, e mette pace tra Dio e l’anima”.

Ed io: “Ah, Signore! Molte volte pare che anche l’ubbidienza non si vuol brigare e se ne sta indifferente, e la povera anima è costretta a starsi in quello stato di contese e di corrucciamento”.

E Gesù: “Questo lo fa per un certo tempo, volendosi anche lei compiacere di assistere a quelle amabili contese; ma poi prende il suo ufficio e pacifica tutto. Sicché l’ubbidienza dà la pace all’anima e a Dio”.

 

Settembre 4, 1900  (113)

Le opere buone malamente fatte, sono di fastidio e di peso a Nostro Signore.

Avendo fatta la santa comunione, il mio adorabile Gesù mi ha trasportata fuori di me stessa, facendosi vedere sommamente afflitto ed amareggiato. Onde l’ho pregato che versasse in me le sue amarezze. Ma Gesù non mi dava retta, ma insistendo, dopo tanto tempo si è compiaciuto di versare. Quindi dopo aver [egli] versato un poco ho domandato: “Signore, non vi sentite meglio adesso?”

E lui: “Sì, ma non era quello che versai che mi dava tanta pena, ma un cibo stomachevole ed insipido che non mi lascia riposare”.

Ed io: “Versate un poco a me, così vi solleverete un poco”.

E lui: “Se non posso digerirlo e sopportarlo io, come lo potresti tu?”

Ed io: “Conosco che la mia debolezza è estrema, ma voi mi darete grazia e forza e così potrò riuscire a contenerlo in me”.

Comprendevo però che il cibo stomachevole erano le impurità, [quel]lo insipido le opere buone malamente fatte, tutte strapazzate, che a Nostro Signore gli sono piuttosto di fastidio e di peso, e quasi sdegna di riceverle, e non potendo sopportarle le vuol rovesciare dalla sua bocca. Chissà quante delle mie ci sono insieme! Onde costretto da me ha versato anche un poco di quel cibo. Come aveva ragione Gesù che era più tollerabile l’amaro, che quel cibo stomachevole ed insipido! Se non fosse per suo amore, a qualunque costo non l’avrei accettato.

Dopo ciò il benedetto Gesù mi ha messo il braccio dietro il collo, e poggiando la sua testa sulla mia spalla si è messo in atto di voler prendere riposo. Mentre riposava mi son trovata in un luogo dove stavano tante basole[70] movibili, e sotto l’abisso. Io temendo di precipitare l’ho risvegliato, invocando il suo aiuto, e lui mi ha detto:

“Non temere, è la via che tutti battono; non ci vuol altro che tutta l’attenzione, e siccome la maggior parte camminano sbadati, ecco la causa perché molti si precipitano dentro l’abisso e pochi sono quelli che giungono al porto della salvezza”.

Dopo ciò è scomparso ed io mi son trovata in me stessa.

 

Nos cum Prole pia benedicat Virgo Maria.

 



[1] prima io e poi lui, cioè prima ho segnato me e poi ho segnato lui

[2] sopra la, cioè riferito alla

[3] l’ho pregato, cioè ho pregato Gesù

[4] se non avessi fatto altro che comperare a prezzo di sangue la sua libertà, pure mi doveva essere riconoscente, cioè eppure mi doveva essere riconoscente, per il solo fatto che ho comperato a prezzo di sangue la sua libertà

[5]  più che, cioè soprattutto perché

[6] di non conformarmi alla giustizia perché soffrendo l’uomo soffrirete, cioè che io non mi conformi alla giustizia, considerando che soffrendo l’uomo soffrireste

[7] di venire, cioè che venisse

[8] ne

[9] pareva l’altra intenzione di pregare per un sacerdote infermo, ma non scorgendolo per quello, cioè avendo l’intenzione di pregare per un sacerdote infermo, non riconoscendolo per quello

[10] quando appena l’ho visto, cioè l’ho visto appena

[11] qualunque

[12] avvicinandomi alla bocca, cioè avvicinandosi Gesù alla mia bocca

[13] cioè

[14] se ne

[15] in me

[16] le disposizioni ed il libero concorso

[17] in

[18] in cui

[19] fa le sue delizie i disprezzi e le confusioni, cioè fa dei disprezzi e delle confusioni le sue delizie

[20] a mano salvo, cioè a man salva (senza trovare alcuna opposizione)

[21] un’arte a parte a saperla fare, cioè un’arte speciale nel fare ciò

[22] mi trovo

[23] di più sperare, cioè sperare ancora

[24] come

[25] operazione

[26] lascia da mezzo le sue dita mandargli, cioè tra le sue dita manda a costui

[27] gli uomini

[28] dagli uomini si potesse, cioè gli uomini potessero

[29] cavassero

[30] e così restano, cioè così da restare

[31] potete

[32] per

[33] gemme

[34] da cui

[35] sono

[36] per il

[37] i nostri voleri, cioè il Volere di Gesù ed il volere della creatura

[38] come

[39] nel

[40] ne

[41] è

[42] in altra edizione: opera

[43] alcune

[44] notevole

[45] avendoci detto, cioè essendoci dette

[46] mi abbia, cioè ho

[47] che abitano il cielo

[48] tu sia

[49] secondo che la creatura può giungere, cioè per quanto a creatura sia possibile

[50] loro

[51] per i quali

[52] a venire, cioè quando viene

[53] attimo

[54] a parte lontane, cioè in luoghi lontani

[55] con tutto ciò che, cioè nonostante

[56] in se stessa, cioè nell’anima

[57] a fronte nella, cioè di fronte alla

[58] ferite per doppie ferite, cioè per ferite, doppie ferite

[59] tanto che, cioè tanto

[60] in altra versione, timore

[61] invisibile con me, cioè indivisibile da me

[62] temendo

[63] d’essere restate, cioè che siano rimaste

[64] sorpassasse

[65] uscirne, cioè uscire dal mio stato

[66] di finirla per la Chiesa, cioè di finire la Chiesa

[67] uso

[68] di vita interiore

[69] spettanti tra me, cioè riguardanti me

[70] masselli di pietra