Settembre 1, 1899 (68)
Essendo venuto il confessore mi ha domandato se avessi fatto l’ubbidienza, ed avendogli detto la cosa come era andata, ha rinnovato l’ubbidienza che assolutamente non dovessi discorrere con Gesù, mio solo ed unico conforto, e che dovevo cacciarlo se venisse. Ed ecco che avendo capito che l’ubbidienza che mi si dava era vera, nel mio interno ho detto il Fiat Voluntas Tua, anche in questo. Ma, oh, quanto mi costa, e che crudele martirio! Mi sento come un chiodo fitto nel cuore, che me lo trapassa da parte a parte; e siccome il cuore è abituato a chiedere e desiderare Gesù continuamente, tanto che come è continuo il respirare ed il palpitare, così mi pare che è continuo il desiderare e volere il solo mio Bene, quindi volere impedire questo, sarebbe lo stesso che volere impedire ad un altro il respirare ed il palpitare del cuore; come si potrebbe vivere? Eppure bisogna far prevalere l’ubbidienza. Oh, Dio, che pena, che strazio atroce! Come impedire al cuore che chieda la sua stessa vita? Come frenarlo? La volontà si metteva con tutta la sua forza a frenarlo, ma siccome ci voleva continuamente gran vigilanza, di tanto in tanto si stancava e si avviliva, il cuore faceva la sua scappata e chiedeva Gesù. La volontà, avvertendosi di questo, si metteva con maggior forza a frenarlo; ma che, ci perdeva spesso spesso, quindi mi pareva che facessi continui atti di disubbidienza. Oh, in quali contrasti, che guerra sanguinolenta, che agonie mortali soffriva il mio povero cuore! Mi trovavo in tali strettezze ed in tali sofferenze che sentivo che[1] se ne andasse la vita. Eppure era questo un conforto per me, se potessi morire. Ma no, quello ch’era più, che si sentiva[no] pene di morte, ma senza poterne morire!
Onde dopo aver versato lacrime amarissime tutto il giorno, la notte, trovandomi nel mio solito stato, il mio sempre benigno Gesù è venuto, ed io costretta dall’ubbidienza gli ho detto: “Signore, non ci venite, che l’ubbidienza non vuole!”
E lui, compatendomi e volendomi fortificare nelle sofferenze che mi trovavo, con la sua mano creatrice ha segnato la mia persona con [un] segno grande di croce, e mi ha lasciato. Ma chi può dire il purgatorio in cui mi trovavo? Ed il più era che non potevo slanciarmi verso il mio sommo ed unico Bene. Ah, sì! Mi era negato di chiedere e desiderare Gesù. A quelle anime benedette del purgatorio viene permesso di chiedere, di slanciarsi, di sfogarsi verso il sommo Bene, solo viene loro vietato il prenderne possesso; a me no, m’era negato anche questo conforto. Quindi tutta la notte non ho fatto altro che piangere. Quando la mia debole natura non ne poteva più, l’amabile Gesù è ritornato in atto di volere parlare con me, ed io subito ricordandomi dell’ubbidienza che vuole soprattutto regnare, gli ho detto: “Cara mia vita, non posso parlare, e non venite, che l’ubbidienza non vuole; se vuoi far capire la tua Volontà, vai da loro[2]”.
Mentre così dicevo ho visto il confessore, e Gesù avvicinatosi a lui gli ha detto: “Questo è impossibile alle anime mie; le tengo tanto immerse in me da formare una stessa sostanza, tanto che non si discerne più l’una dall’altra; è come quando si uniscono due sostanze insieme, una si trasmette nell’altra, e dopo anche a volerle separare riesce inutile anche il pensarlo. Così è impossibile che le anime mie possano stare separate da me”. E detto questo si è partito, ed io son rimasta in più [grande] afflizione di prima. Il cuore mi batteva tanto forte che mi sentivo crepare il petto.
Dopo ciò, non so dire come, mi son trovata fuori di me stessa, e dimenticandomi, non so come, dell’ubbidienza ricevuta, ho girato la volta dei cieli piangendo, gridando e cercando il mio dolce Gesù. Quando al meglio me lo sono visto venire, gettandosi fra le mie braccia tutto acceso, e languendo, subito mi son ricordata del comando ricevuto e gli ho detto: “Signore non volermi tentare questa mattina; non sapete che l’ubbidienza non vuole?”
Ed egli: “Mi ha mandato il confessore, perciò son venuto”.
Ed io: “Non è vero, sei forse qualche demonio, che vuoi ingannarmi e farmi mancare all’ubbidienza?”
E Gesù: “Non sono demonio”.
Ed io: “Se non sei demonio, facciamoci a vicenda il segno di croce”. E così ci siamo segnati tutti e due con la croce, poi ho seguitato a dirgli: “Se è vero che ti ha mandato il confessore, andiamo da lui, affinché egli stesso possa vedere se sei Gesù Cristo oppure demonio, allora posso essere sicura”. Così siamo andati dal confessore, e siccome [Gesù] era da bambino, l’ho dato in braccio a lui dicendogli: “Padre, vedete voi stesso, è il mio dolce Gesù o no?” Ora mentre Gesù benedetto stava col padre, gli ho detto: “Se sei veramente Gesù, bacia la mano al confessore”.
Nella mia mente pensavo che se fosse il Signore avrebbe fatto quell’umiliazione di baciare la mano, ma se fosse demonio, no. E Gesù la baciò, ma non all’uomo, ma alla potestà sacerdotale; così l’ha baciata. Dopo ciò il confessore pareva che lo scongiurasse per vedere se fosse demonio, e non trovandolo tale l’ha restituito a me. Ma con tutto ciò, il mio povero cuore non poteva godere gli amplessi del mio diletto Gesù, perché l’ubbidienza lo teneva come legato, inceppato; tanto più che non ci stava nessun ordine in contrario ancora, quindi non ardivo di sfogarmi, neppure di dire una parola di amore.
Oh, santa ubbidienza! Quanto tu sei forte e potente! Io ti veggo in questi giorni di martirio innanzi a me come un guerriero potentissimo, armato dalla testa ai piedi, di spade, di saette, di frecce, ripieno di tutti quegli strumenti atti a ferire; e quando vedi che il mio povero cuore stanco e lasso vuole sollevarsi cercando il suo refrigerio, la sua vita, il centro cui, come da calamita si sente tirare, tu, guardandomi con mille occhi, da tutte le parti mi ferisci con ferite mortali. Deh, abbi pietà di me e non essere meco crudele!
Ma mentre ciò dicevo, la voce del mio adorabile Gesù mi si fece sentire al mio orecchio, che diceva: “L’ubbidienza fu tutto per me, l’ubbidienza voglio che sia tutto per te. L’ubbidienza mi fece nascere, l’ubbidienza mi fece morire; le piaghe che tengo nel mio corpo sono tutte ferite e segni che mi fece l’ubbidienza. Con ragione hai tu detto ch’è un guerriero potentissimo armato d’ogni specie di armi atte a ferire, perché in me non mi lasciò neppure una goccia di sangue, mi svelse a brani le carni, mi slogò le ossa, ed il mio povero cuore, affranto, sanguinolento, andava cercando un sollievo da chi avesse di me compassione. L’ubbidienza facendosi con me più che crudel tiranno, allora si contentò, quando mi sacrificò sulla croce, e vittima mi vide spirare per suo amore. E perché ciò? Perché l’ufficio di questo potentissimo guerriero è di sacrificare le anime; quindi non fa altro che muovere guerra accanita a chi tutto non si sacrifica per lei; onde non ha nessun riguardo se l’anima soffra o goda, se viva o muoia; i suoi occhi sono intenti a vedere se lei vince, che delle altre cose, non si briga affatto.
Onde il nome di questo guerriero è vittoria, perché tutte le vittorie concede all’anima obbediente; e quando pare che questa muore, allora incomincia la vera vita. E che cosa non mi concesse l’ubbidienza di più grande? Per suo mezzo vinsi la morte, sconfissi l’inferno, sciolsi l’uomo incatenato, aprii il cielo e come re vittorioso presi possesso del mio regno, non solo per me, ma per tutti i miei figli che avrebbero profittato della mia redenzione. Ah, sì! È vero che mi fece costare la vita, ma il nome ubbidienza mi risuona dolce al mio udito, e perciò tanto amore prendo a[3] quelle anime che sono obbedienti”.
Riprendo a dire da dove ho lasciato.
Dopo poco è venuto il confessore, ed avendogli detto tutto ciò che ho detto di sopra, mi ha rinnovato l’obbedienza che avessi continuato lo stesso[4]. Ed avendogli detto: “Padre, permettete almeno di darmi la libertà al cuore di chiedere Gesù; che l’ubbidienza di dire, quando viene: ‘Non ci venite’ e ‘non posso discorrere’, la faccio”; egli [mi ha risposto]: “Fa quanto puoi a frenarlo, e quando non puoi, allora dagli la libertà”.
[1] come se
[2] da loro, probabilmente da lui, cioè dal confessore
[3] prendo a, cioè ho per
[4] che avessi continuato lo stesso, cioè di continuare come prima.
fonte audio: yahoo/group/ladivinavolonta