capitolo (25)
Ora, chi può dire il cambiamento che succedette nel mio interno! Tutto era orrore per me, quell'amore che prima sentivo in me, ora me lo vedevo convertito in odio atroce. Che pena di non poterlo più amare! Mi straziava l'anima il pensare che quel Signore che era stato tanto buono con me, ora vedermi costretta ad aborrirlo, a bestemmiarlo come se fosse il più crudele nemico, il non poterlo guardare neppure nelle sue immagini, ché [al solo] guardarle, [al] tenere corone fra le mani, baciarle, mi venivano tali impeti di odio e tanta forza, che farle e mettere tutto in pezzi era lo stesso; e delle volte facevo tanta resistenza, che la natura tremava da capo a piedi. Oh Dio, che pena amarissima! Io credo che se nell'inferno non ci stessero più pene, la sola pena di non poter amare Dio formerebbe l'inferno più orribile. Molte volte il demonio mi metteva innanzi le grazie che il Signore mi aveva fatto, ora [facendomele vedere] come [fossero] un lavorio della mia fantasia, e quindi [m'incitava a] poter menare una vita più libera, più comoda; ed or come vere, e mi rimproveravano col dire: «Questo è il bene che ti voleva? Questa è la ricompensa che ti ha lasciata nelle nostre mani! Sei nostra, sei nostra, per te tutto è finito, non c'è più da sperare!».
E nell'interno mi sentivo gettare tali impeti di sdegno contro il Signore, e di disperazione, che parecchie volte, essendomi trovata qualche immagine fra le mani, era tanta la forza dello sdegno che le ruppi, ma mentre ciò facevo, piangevo e la baciavo, ma, non so dire come, ero costretta a farlo.
Ora, chi può dire lo strazio dell'animo mio!
I demoni facevano festa e se la ridevano; chi faceva rumore da un punto, chi dall'altro, chi strepitava, chi m'assordiva coi gridi dicendo: «Vedi come sei nostra! Non ci resta altro che portarti all'inferno, anima e corpo, e poi lo vedrai che lo faremo!».
Delle volte mi sentivo tirare, or le vesti, or la sedia dove stavo inginocchiata, e tanto la movevano e strepitavano che non potevo pregare, e delle volte era tanto il timore che, credendomi di dovere liberarmi, me ne andavo a coricarmi nel letto (siccome questi fracassi succedevano la maggior parte la notte) ma anche là mi seguivano col tirarmi il cuscino, le coperte.
Or chi può dire lo spavento, la paura che ne provavo. Io stessa non sapevo dove mi trovavo, o sopra la terra o nell'inferno; era tanto il timore che davvero mi portassero [con loro nell'inferno], che gli occhi non si potettero più chiudere al sonno; stavo come uno che tiene un crudele nemico che ha giurato che a qualunque costo gli deve togliere la vita; e questo lo credevo che mi doveva succedere al primo chiudere degli occhi; quindi mi sentivo come se uno mi mettesse una cosa dentro, in modo che ero costretta a tenerli spalancati per vedere quando mi dovevano portare, chi sa potessi farmi forza ed oppormi a ciò che volevano fare! Quindi mi sentivo sollevarmi i capelli sulla mia testa uno per uno, un sudor freddo per tutta la persona che mi penetrava fino nelle ossa e mi sentivo disgiungere i nervi e le ossa uno per uno, e dibattevano insieme per la paura.
Altre volte mi sentivo incitare a tale tentazioni di disperazioni e di suicidio, che qualche volta essendomi trovata vicina al pozzo o pure a qualche coltello, mi sentivo tirare a menarmi dentro o pure prendere il coltello ed uccidermi; ed era tanta la forza che dovevo farmi per fuggire, che mi sentivo pene di morte, e mentre fuggivo, me li sentivo venire appresso e mi sentivo suggerire che: per me inutile era il vivere, dopo avere commesso tanti peccati, Iddio m'aveva abbandonata perché non ero stata fedele, anzi mi vedevo che avevo fatto tante scelleratezze che mai anima al mondo aveva commesso, quindi, per me non ci era più misericordia da sperare... Nel fondo dell'anima mia mi sentivo ripetere: «Come puoi vivere nemica di Dio? Sai tu qual è quel Dio che hai tanto oltraggiato, bestemmiato, odiato? Ah, quel Dio immenso che da[p]pertutto ti circondava, e tu sotto i suoi occhi stessi hai ardito d'offenderlo! Hai perduto il Dio dell'anima tua, chi ti darà più pace? Chi ti libererà da tanti nemici?».
Era tanta la pena, che non facevo altro che piangere. Delle volte mi mettevo a pregare, e i demoni per accrescere il mio tormento me li sentivo venire sopra, e chi mi percuoteva, chi mi pungeva e chi [mi] soffocava la gola. Una volta ricordo che, mentre pregavo mi sentii tirare i piedi da sotto la terra, aprirsi ed uscire le fiamme, ed io vi sprofondavo dentro. Fu tale lo spavento ed il dolore, che rimasi mezza morta, tanto che per riavermi da quello stato vi venne Gesù Cristo e mi rincorò, mi fece capire che non era vero che avevo messo la volontà ad offenderlo e che io stessa lo potevo conoscere dalla pena amarissima che ne sentivo, che il demonio era un bugiardo e che non dovevo dargli retta, che per ora dovevo aver pazienza a soffrire quelle molestie e che poi doveva venire la pace. Così succedeva d'intanto intanto, quando proprio giungevo agli estremi, e delle volte per mettermi in più aspri tormenti. Nell'atto di quel conforto l'anima si convinceva, perché innanzi a quella luce è impossibile che l'anima non apprenda la verità, ma dopo che mi trovavo nella lotta, mi trovavo allo stesso stato di prima.
Mi tentava ancora a non fare la comunione, persuadendomi che, dopo che avevo commesso tanti peccati era una baldanza andarvi, e che, se ardivo, non Gesù Cristo sarebbe venuto ma il demonio, e che tanti tormenti mi sarebbe dato, che mi avrebbe dato la morte. Ma però l'ubbidienza la vinceva. È vero che delle volte soffrivo pene mortali, sicché a stento potevo riavermi dopo la comunione, ma siccome il confessore voleva che assolutamente la facessi, non potevo fare diversamente. Sicché ricordo che parecchie volte non la feci.
Ricordo pure che delle volte mentre pregavo la sera, [i demoni] mi smorzavano la lampada; delle volte [e]mettevano ruggiti tali da fare spavento; altre volte voci flebili come se fossero moribondi; ma chi può dire tutto ciò che facevano? È impossibile.
fonte audio: yahoo/group/ladivinavolonta