capitolo (14)
Poi mi diceva: «La prima cosa che voglio che mortifichi è la tua volontà, quell'io si deve distruggere in te; voglio che la tieni sacrificata come vittima innanzi a me, per fare che [del]la tua volontà e la mia si formi una sola. Non ne sei tu contenta?».
«Sì, Signore, ma dammi la grazia, che da me [sola] veggo che niente posso». E lui che continuava a dirmi: «Sì, Io stesso ti contraddirò in tutto, e quando [anche] per mezzo delle creature».
E succedeva così. Per esempio, se la mattina mi svegliavo e subito non mi alzavo, la voce interna mi diceva: «Tu riposi ed Io non ebbi altro letto che la croce; presto, presto, non tanta soddisfazione!». Se camminavo e la vista scorreva un po' lontano, subito mi riprendeva: «Non voglio [che] la tua vista non si allontani da te che la lunghezza d'un passo all'altro, per fare che non inciampi». Se mi trovavo nelle campagne e vedevo fiori, alberi, mi diceva: «Io tutto ho creato per amore tuo, e tu priva alla tua vista questo diletto per amore mio».
Anche [nel]le cose più innocenti e sante, come per esempio i parati degli altari, le processioni mi diceva: «Non altro piacere devi prendere che in me solo».
Se stavo seduta mentre lavoravo... mi diceva: «Stai troppo comoda, non ti ricordi che la mia vita fu un continuo penare, e tu, e tu ...». Subito, per contentarlo, mi mettevo sopra la metà della sedia, e l'altra metà la lasciavo vuota, e qualche volta per scherzo gli dicevo: «Vedi, o Signore, la metà della sedia è vuota: venite a sedervi vicino».
Qualche volta mi pareva che mi contentavo e ne provavo tanto gusto che non so dirlo io stessa. mentre poi alcune volte stavo lavorando un po' lenta e svogliata, mi diceva: «Presto, aiutati, che il tempo che guadagnerai coll'aiutarti verrai a stare insieme con me nell'orazione».
Alcune volte lui stesso mi assegnava quanto lavoro dovevo fare. Io poi lo pregavo che venisse ad aiutarmi. «Sì, sì - mi rispondeva - faremo insieme tutti e due affinché dopo che hai finito resteremo più liberi». E succedeva che in un'ora, in due ore facevo quello che dovevo fare tutto il giorno. Dopo poi me ne andavo a fare orazione, e mi dava tanti lumi e mi diceva tante cose che il volerle dire sarebbe troppo lungo.
Mi ricordo che mentre stavo sola, lavorando, vedevo che non bastava il filo per compire quel lavoro ed avrei [avuto] bisogno d'andare alla famiglia per prenderlo; mi volgevo a lui e gli dicevo: «A che pro, Amato mio, d'avermi aiutato? mentre veggo che ho bisogno d'andarvi alla famiglia posso trovare persone e mi impediranno di venire un'altra volta, e questa volta la nostra conversazione andrà a vuoto».
«Che? Che?» - mi diceva - «E tu hai fede?» «Sì! ».
«Ebbene, non temere che ti farò compire tutto». E così succedeva, e poi mi mettevo a pregare. Se poi veniva l'ora del pranzo e mangiavo qualche cosa gustosa, subito internamente mi riprendeva dicendo: «Ti sei forse dimenticata che Io non ebbi altro gusto che nel patire per amore tuo? E che tu non devi avere altro gusto che nel mortificarti per amore mio? Lascialo, e mangia ciò che più non ti [ag]grada».
Ed io subito lo prendevo e lo portavo alla persona di servizio, oppure dicevo che non ne volevo più, e molte volte me la passavo quasi digiuna, ma però quando andavo all'orazione ricevevo tanta forza e mi sentivo tanta sazietà, in modo che avevo nausea d'ogni cosa. Altre volte poi per contraddirmi, se non avevo voglia di mangiare, mi diceva: «Voglio che mangi per amore mio; e mentre il cibo si unisce col corpo, così pregami che il mio amore si unisca coll'anima tua e resterà santificata ogni cosa».
In una parola, senza andare più al lungo, anche nelle cose più minime cercava di far morire la mia volontà, per fare che vivesse solo lui. Permetteva di farmi contraddire anche dal confessore, come, per esempio: mi sentivo un gran desiderio di fare la comunione, tutto il giorno e la notte non facevo altro che a prepararmi, gli occhi non si potevano chiudere al sonno per i continui palpiti del cuore, gli dicevo: «Signore, fate presto che non posso stare senza di voi, accelerate le ore, fate presto spuntare il sole ché io più non posso, il cuore mi vien meno»!
Lui stesso mi faceva certi inviti amorosi che mi sentivo crepare il cuore; mi diceva: «Vedi, Io sto solo, non ti prendere pena ché non puoi dormire, si tratta di fare compagnia al tuo Dio, al tuo Sposo, al tuo Tutto, che è continuamente offeso; deh! non negarmi questo sollievo, ché poi nelle tue afflizioni Io non lascerò te!».
Mentre stavo con queste disposizioni, la mattina andavo al confessore e, senza sapere il perché, la prima cosa che mi diceva: «Non voglio che facci[a] la comunione».
Dico la verità: mi riusciva tanto amaro, che delle volte non facevo altro che piangere; al confessore non ardivo di dire niente, perché così voleva lui stesso che facessi, altrimenti mi rimproverava; ma però me ne andavo da lui e gli dicevo la mia pena: «Ah! mio Bene, questa è la veglia che abbiamo fatto questa notte, che dopo tanto aspettare e desiderare, dovevo restarne priva di voi? Conosco bene che devo ubbidire, ma dimmi un po': posso stare senza di voi? Chi mi darà la forza? E poi, chi avrà coraggio di partirsi da questa chiesa senza portarvi insieme? Io non so che fare, ma voi potete rimediare a tutto». Mentre così mi sfogavo, mi sentivo venire un fuoco vicino, entrare una fiamma nel cuore, e Lo sentivo dentro di me; e subito mi diceva: «Chetati, chetati, eccoti son già nel tuo cuore; di che temi adesso? Non più affliggerti, Io stesso ti voglio asciugare le lacrime; hai ragione, tu non potevi stare senza di me, non è vero?». Io poi ne restavo tanto annientata in me stessa, gli dicevo che se io fossi buona, non avrebbe lui disposto così, e Lo pregavo a non più lasciarmi, che senza di lui non ci volevo stare.
fonte audio: yahoo/group/ladivinavolonta