[AUDIO] Meditazione sul 1° volume
capitoli 37 e 38
Gesù chiede a Luisa di non badare a quel che pensano le creature e di non avere nessun tipo di attaccamento, anche santo ed anche ai ministri di Dio, ma rimanere sempre e solo unita a Lui nella più totale e perfetta indifferenza verso tutto.
Offrire le sofferenze che ci arreca chi ci contrasta proprio per la sua conversione.
Volume 1 - Capitolo 37
“L'atto più bello, più eroico e più a me gradito e che offrirmi devi, è quello d'offrirti per quei stessi che ti sono contrari”.
In questo periodo di tempo, ricordo che ci fu il colera, ed un giorno pregavo il mio buon Gesù che facesse cessare questo flagello, ed egli mi disse: «Ti contenterò purché accetti d'offrirti a soffrire ciò che voglio Io. Gli dissi: Signore, no, non posso; voi sapete come la pensano; nonché se il fatto passa tra me e voi solamente: sarei stata prontissima ad accettare tutto».
Ed egli mi disse: «Figlia mia, se Io avessi pensato a quello che pensavano e che dovevano fare di me gli uomini, non avrei operato la Redenzione dell'umano genere. Ma Io avevo l'occhio alla loro salvezza; e l'amore grande che mi divorava facevami fare che quando vedevo persone che di me mal pensavano e che davano occasione di farmi più soffrire, ero d'offrire quelle stesse pene che loro mi davano per la loro stessa salvezza. Ti sei dimenticata che quello che voglio da te è l'imitazione della mia Vita, e che di tutto ciò che offrii ti farò parte di tutto? Non sai tu che l'atto più bello, più eroico e più a me gradito e che offrirmi devi, è quello di offrirti per quei stessi che ti sono contrari?».
Io restai muta, non seppi che rispondergli, accettai tutto ciò che il Signore voleva, e così fino alla sera fui sorpresa da quello stato di sofferenze e vi stetti tre giorni continui. E dopo che mi riebbi non s'intese più niente che ci stava il colera.
Volume 1 - Capitolo 38
Ritornai al confessore che mi confessava quand'ero piccola.
Dopo questo mi ebbi un'altra mortificazione, e fu il dover cambiare confessore, che essendo lui religioso fu chiamato in convento. Io ne ero contenta di lui, e la maggior parte di quei fracassi detti di sopra succedevano quando lui stava in campagna; specialmente l'ultimo anno che fu confessore, per il colera che stava nel paese, vi dimorò sei mesi; onde il mio confessore non faceva tante parti, mi faceva stare un giorno in quello stato di sofferenze e poi veniva. Quindi non stette neppure un mese da che si era ritirato in campagna e si intese che se ne partiva; questo fu doloroso per me, non perché ci avevo attacco, ma per la necessità che ne avevo. Onde andai dal Signore e gli dissi la mia pena, ed Egli mi disse: «Non volerti affliggere per questo, Io ne sono il padrone dei cuori e posso volgerli e rivolgerli come a me pare e piace. Se lui ti ha fatto del bene non è stato altro che un porgitore che riceveva da me e lo dava a te. Così farò degli altri; di che temi adunque? mia cara, fino a tanto che tu avrai l'occhio or a destra or a sinistra e lo lascerai posare or su d'una cosa ed or sull'altra e non avrai l'occhio fisso in me, non potrai camminare spedita la via del cielo, ma andrai sempre zoppicando e non potrai seguire l'influsso della grazia. Perciò voglio che con santa indifferenza guardi tutte le cose che intorno a te succedono, stando tutta intenta a me solamente».
Onde, dopo queste parole il mio cuore acquistò tanta forza, che poco o niente soffrii una tanta perdita e che tanto bene aveva fatto all'anima mia.
Così successe che cambiai confessore, e ritornai al confessore che mi confessava quand'ero piccola. Ma sia sempre benedetto il Signore che si serve di quelle stesse vie che compariscono a noi contrarie e quasi che ci dovrebbero portare danno all'anima nostra, per il maggiore bene nostro e per la sua gloria.
Così avvenne che incominciai ad aprire l'animo mio, ché fino a quel punto non avevo detto niente a nessuno, per quanto sforzo mi facessi non ci riuscivo, anzi, più impotente mi vedevo a dire le cose del mio interno. Era tanto il rossore che sentivo il solo pensar [di] dire queste cose, che mi vedevo essere più facile dire i più brutti peccati. Donde procedesse, non so dirlo; da parte del confessore credo di no, perché egli era tanto buono, fiducioso, dolce, paziente nel sentire, prendeva una cura esattissima dell'anima, aveva l'occhio su di tutto affinché si potesse camminare dritto. Da parte mia neppure, perché mi sentivo un intoppo sull'animo ed avevo tutta la volontà di liberarmi e di sentire almeno come la pensava il confessore, ma mi sentivo impossibilitata a farlo. Per me credo che ci fu una permissione del Signore.
Onde, trovandomi col nuovo confessore, incominciai, a poco a poco ad aprire il mio interno. Il Signore molte volte mi comandava che manifestassi al confessore ciò che lui mi diceva, e quando io non lo facevo, il Signore mi riprendeva, mi rimproverava severamente e delle volte giungeva a dirmi che se ciò non facessi, lui non ci sarebbe più venuto (questo che è per me la pena più amara, che tutte le altre pene confrontate con questa non mi sembrano altro che fili di paglia).
Perciò, tanto era il timore ancora veramente non ci venisse, che facevo quanto più potevo a manifestare il mio interno. È vero che delle volte mi costava molto, ma il timore di perdere il mio caro Gesù mi faceva superare tutto. Da parte del confessore ero pure spinta a dirgli donde procedesse un tale stato, che cosa mi succedeva quando stavo in quel assopimento, quale n'era la causa; ora mi comandava a manifestarlo, ora mi costringeva coi precetti d'ubbidienza, ed ora mi metteva innanzi il timore che potessi vivere nell'illusione e nell'inganno, vivendo a me stessa, mentre se manifestassi al sacerdote potrei stare più sicura e tranquilla, e che il Signore non permette mai che il sacerdote s'inganni quando l'anima è obbediente. Così, Gesù Cristo mi spingeva da una parte, il confessore dall'altra; mi pareva delle volte che se l'intendessero tutti e due insieme, il confessore e Gesù Cristo. Così mi riuscì a manifestare l'animo mio.