[AUDIO] Meditazione sul 1° volume

capitolo 36

 

La perfetta rassegnazione ai Divini Voleri è richiesta da Gesù.

Le nuove sofferenze inflitte a Luisa: incomprensioni e persecuzioni da parte dei sacerdoti, dalle cui benedizioni dipendeva l'uscita dal suo stato di "impietrimento".

Umiliazioni e contrarietà vissute da Luisa a causa di ciò.




Volume 1 - Capitolo 36

Una nuova croce durissima per Luisa: la soggezione, come vittima, alla potestà dei sacerdoti. Sofferenze penosissime che ebbe da sopportare da parte loro.

Tanto vero che non credevo che ci volesse il sacerdote per liberarmi e che ciò succedeva per la santità del confessore, che quando fu giunto il tempo che lui se ne andò in campagna, una mattina, dopo la comunione, il Signore mi fece capire che dovevo essere sorpresa da quello stato, m'invitò a tenergli compagnia col partecipare alle sue pene, ed io subito gli dissi: «Signore, come farò? Il confessore non ci sta, chi mi deve liberare; adesso vuoi forse farmi morire?». Ed il Signore mi disse solamente: «La tua fiducia dev'essere solo in me; stato rassegnata, ché la rassegnazione rende l'anima luminosa, fa stare a posto tutte le altre passioni, in modo che Io, tirato da quei raggi di luce, ci vado nell'anima e la informo tutta in me e la faccio vivere della mia stessa Vita».

Io mi rassegnai alla sua Santa Volontà, offrii quella comunione come l'ultima della mia vita, gli diedi l'ultimo addio a Gesù in sacramento; sebbene rassegnata, ma la natura la sentivo tanto, che tutto quel giorno non feci altro che piangere e pregare il Signore che mi desse la forza. In verità mi riuscì troppo amaro il fatto e, senza pensarlo né saperlo, mi trovai con una nuova e pesante croce, che credo sia stata la più pesante che ho avuto in mia vita. Mentre stavo in quello stato di sofferenze, da me non ci pensavo altro che a morire ed a fare la Volontà di Dio.

Da parte della famiglia, che anche soffriva a vedermi in quello stato, cercavano di mandare a chiamare qualche sacerdote, e chi non voleva venire da una parte, e chi dall'altra; dopo dieci giorni ci venne il confessore che mi confessava quando ero piccola, e successe che anche quello mi fece riavere da quello stato, ed allora me ne avvidi [del]la rete che il Signore mi aveva involto.

Da qui mi ebbe una guerra da parte dei sacerdoti: chi diceva che era finzione, chi che ci volevano le bastonate, altri che volevami far credere santa, chi soggiungeva che ero indemoniata e tante altre cose, che dirle tutte sarebbe troppo lunga la storia. Onde, con queste idee nelle loro menti, quando succedevano le sofferenze e la famiglia mandava a chiamare qualche uno, facevano parti tanto strane, che la povera famiglia ha sofferto molto; specialmente la povera mamma, quante lacrime ha versato per me! Ah! Signore, ricompensatela voi. Oh! mio buon Signore, quanto ho sofferto da questa parte. Tu solo sai tutto!

Onde chi può dire quanto mi riusci amaro questo fatto, che per liberarmi da quello stato di sofferenze ci volesse il sacerdote. Quante volte ho pregato versando lacrime amarissime ché mi liberasse.

Quante volte ho fatto delle positive resistenze al Signore quando lui voleva che mi offrissi come vittima ed accettassi le pene, ed io gli dicevo: «Signore, promettimi che mi liberate voi, ed allora accetto tutto, altrimenti no, non voglio accettare!». E resistevo il primo giorno, il se­condo, il terzo; ma chi può resistere a Dio? Me ne diceva tanto che al fine ero costretta a sottopormi alla croce. Altre volte gli dicevo di cuore e con confidenza: «Signore, come è stato che hai fatto questo? Come, da me e voi, adesso hai voluto mettere un terzo? E questo terzo, che non vuol prestarsi! Vedi, potevamo stare tanto contenti tutti e due: quando mi volevi al patire, io subito accettavo perché sapevo che voi stesso mi dovevi liberare. Adesso no, ci vuole un'altra mano. Ve ne prego: liberatemi, ché staremo più contenti tutti e due».

Delle volte fingeva di non ascoltarmi e non mi diceva niente, altre volte poi mi diceva: «Non temere, Io sono quello che dò le tenebre e la luce, verrà il tempo della luce: è mio solito che le mie opere le manifesto per mezzo dei sacerdoti».

Così passai tre o quattro anni di queste contraddizioni da parte dei sacerdoti, molte volte mi assoggettavano a prove durissime, giungeva­no a farmi stare in quello stato di sofferenze, cioè impietrita, inabile a qualunque minimo moto, neppure di poter prendere una goccia d'acqua, diciotto giorni più o meno, quando a loro piaceva.

Lo sa solo il Signore ciò che io passavo in quello stato, e dopo che venivano non avevo neppure il bene d'essere detta almeno: «Abbi pazienza, fa' la Volontà di Dio»; ma ero rimproverata come capricciosa e disobbediente. Oh! Dio, che pena, quante lacrime ho versato; quante volte pensavo che ero disobbediente!

Dicevo fra me: «Come quella virtù che al Signore è la più gradita, è da me tanto lontana. Che cosa può fare e sperare di bene un'anima disobbediente?».

Molte volte mi lamentavo con Nostro Signore e delle volte giungevo fino a risentirmi, e quando voleva che accettassi le sofferenze, resistevo quanto più potevo. Ma il Signore quando vedeva che incominciavo a resistere faceva vedere che non mi curava e non mi diceva più niente, e poi, all'improvviso, veniva a sorprendermi.

Ciò che poi diceva il confessore è perché delle volte non voleva che cadessi in quello stato, ma ciò non stava in mio potere; è pur vero che sono stata disobbediente e che non sono stata mai buona a nulla, ma ricordo pure che la pena più straziante per me era il non poter obbedire.