“Fu questa Celeste creatura che comprese la storia della nostra Volontà; Noi, come a piccina, tutto le narrammo: il dolore del nostro Volere, e come l’uomo ingrato, con lo spezzare la sua volontà con la nostra, aveva ristretto il nostro Volere nella cerchia divina, come inceppandolo nei Suoi disegni, impedendo che potesse comunicargli i Suoi beni e lo scopo per cui l’uomo era stato creato.
Per Noi il dare è felicitarci e rendere felice chi da Noi riceve, è arricchire senza Noi impoverire, è dare ciò che Noi siamo per natura, formandolo nella creatura per grazia; è uscire da Noi per dare ciò che possediamo... Col dare, il nostro amore si sfoga, il nostro Volere fa festa. Se non dovevamo dare, a che pro formare la creazione? Sicché il solo non poter dare ai nostri figli, alle nostre care immagini, era come un lutto per la nostra suprema Volontà. Solo nel vedere l’uomo operare, parlare, camminare, senza la connessione del nostro Volere, perché da lui spezzato, e che dovevano correre a lui, se era con Noi, correnti di grazie, di santità, di scienza, ecc., e non potevano, il nostro Volere si atteggiava a dolore. Ogni atto di creatura era per Noi un dolore, perché vedevamo quell'atto vuoto del valore divino, privo di bellezza e di santità, tutto dissimile dagli atti nostri.
Oh, come comprese la celeste piccina questo nostro sommo dolore ed il gran male dell’uomo nel sottrarsi dal nostro Volere! Oh, quante volte lei pianse a calde lacrime per il nostro dolore e per la grande sventura dell’uomo! E perciò lei, temendo, non volle concedere neppure un atto di vita alla sua volontà; perciò si mantenne piccola, perché il suo volere non ebbe vita in lei, e come poteva farsi grande? Ma ciò che non fece lei, lo fece il nostro Volere: la crebbe tutta bella, santa, divina; l’arricchì tanto che la fece la più grande di tutte le creature; era un prodigio del nostro Volere, prodigio di grazia, di bellezza, di santità”.
(Libro di Cielo 16° Volume - 24 novembre 1923)